La guerra non può che perdere

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Mons. Slamon Warduni, vescovo ausiliare della Chiesa caldea di Baghdad, ha avuto recentemente alcuni incontri in Italia. Riportiamo un ampio stralcio del suo intervento di giovedì 12 maggio ’05 nell’ambito del meeting sulla Pace a Vercelli.

a cura della redazione

Stamattina ai giovani intervenuti al convegno ho chiesto cosa significa “educarci alla pace”. Quando Cristo è risorto, ha detto ai suoi discepoli: “La pace sia con voi!”.

Sono molto contento di essere qui tra di voi, chiamato a parlare di pace, di una causa così complessa, che speriamo di vivere e di vincere. La pace si conquista, i problemi si risolvono con il dialogo, non con la guerra, perché la guerra distrugge tutto.

Sono qui per dire com’era la situazione in Iraq prima della guerra. Si soffriva molto perché non avevamo la libertà, ma almeno si continuava a vivere. Ora siamo in un caos, ugualmente non abbiamo la libertà e tutto è stato distrutto.

Non c’è un esercito regolare, non c’é polizia, mancano completamente le infrastrutture e l’elettricità, e senza di queste che cosa possiamo fare? Non possiamo studiare, non possiamo pregare, non possiamo lavorare. Senza la corrente elettrica le fabbriche, le officine, come possono funzionare? Anche se cercano di riallacciarla, i terroristi distruggono subito gli impianti.

Una volta, circa un anno fa, ho detto agli alleati: “Voi avete portato troppi carri armati, adesso portate troppe macchine straordinarie: non potete portare qualche centinaio di generatori?”. Non ho avuto alcuna risposta e le cose sono andate avanti così. Immagino che qualche volta anche in Italia manchi l’elettricità, ma che ciò avvenga solamente per qualche ora, poi i collegamenti vengono ripristinati: a noi manca da due anni... Questa è solo una delle conseguenze della guerra.

La pace è un valore che viene conquistato, e a cui dobbiamo educarci. Come ho detto ai giovani incontrati stamattina: carissimi amici, voi avete questo grande valore, ma tante volte non lo sapete valorizzare.

A parlare con la gente irachena viene da piangere, a sentire come vengono aggredite le persone. Dieci giorni fa ho sentito che lungo la strada che porta alla chiesa hanno rapito un giovane, e hanno chiesto a suo padre come riscatto decine di migliaia di dollari. Lui dice: “Io non li ho: dove li trovo questi soldi?”. “Vendi la tua casa!”. La casa è sua, ma si tratta di pochi metri quadri e di alcuni piccoli oggetti… e non sarà possibile per lui rivedere suo figlio, a meno che, in quale modo non so, riesca a trovare migliaia di dollari per il riscatto.

Voi avete ragione a parlare dei vostri militari uccisi in Iraq, dei giornalisti rapiti, tutte le ragioni, e anche noi siamo addolorati della violenza che hanno dovuto subire, però voi avete mai letto delle centinaia di persone irachene che vengono rapite e uccise? I media non ne parlano. Avete mai sentito parlare delle decine e decine di ragazze irachene rapite dall’università? Ogni volta chiedono come riscatto 200 mila dollari e sovente sono violentate, uccise e buttate sulla strada!

Questa è la nostra “pace”, questa è la nostra “sicurezza”. Io esco ogni mattina, ma non sono mai sicuro di tornare a casa sano e salvo. Nel tragitto dobbiamo attraversare con la macchina un ponte che è lungo circa 200 metri: a volte sono necessari 10 minuti per attraversarlo, a volte ci vogliono 4 orre, non si sa… Viviamo costantemente nella paura, senza sapere come sarà il domani, viviamo questa vita.

Quindi questa è la speranza che vi esprimo: che il Signore intervenga per la pace. Ma non come quella che il mondo promette, ma come quella che Gesù ci ha promesso, che ci mette in una situazione di serenità, con la speranza di vivere prima o poi nella pace, dentro di noi e con gli altri. Questa pace è diversa da quella che dà il mondo. Quella che dà Gesù è di incontrare l’altro, è libertà, è legalità, è giustizia. È confidenza tra Dio e l’uomo, un Dio Padre di misericordia che ci chiama alla fratellanza e alla concordia. La guerra distrugge tutto. Speriamo nel domani. Questa è la nostra consolazione. La nostra speranza è il domani.

Numero di vittime dall’inizio della guerra in Iraq (19 marzo 2003)

Iracheni: min. 21705
               max. 24628
Americani: 1.610
Altre vittime: 180

Fonte: www.iraqbodycount.net

 

Certamente adesso possiamo protestare contro il presidente, contro il primo ministro, contro questo e contro quello, ma oggi manca tutto, strutture, medicine, ospedali… e quindi speriamo. Speriamo in particolare per i nostri giovani: anche loro, i nostri studenti, vorrebbero andare a combattere, prendere le armi per vendicarsi di quello che continuamente subiscono, ma noi diciamo no e ricordiamo loro quello che diceva Gesù: “Tutti quello che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt 26,52).
I musulmani (che sono il 96%) ci confondevano con gli occidentali, così abbiamo detto sempre, anche con grandi manifestazioni di cristiani, perché: “noi siamo iracheni e lo siamo da prima di tutti, in virtù della nostra originaria appartenenza ai popoli più antichi di questa terra: da secoli la nostra chiesa era molto numerosa e i nostri missionari erano in Cina, in Mongolia e in altri luoghi”.



Intervista con Slamon Warduni, Vescovo di Baghdad
A cura di Riccardo Caniato
e Aldo Maria Valli,
2003, Medusa Edizioni

Un libro – intervista, scritto in tempi non sospetti, in cui vi è l'appello di un uomo di fronte ai venti di guerra che minacciavano di sconvolgere gli equilibri tra l’Occidente e i Paesi mediorientali. Slamon Warduni, vescovo di Baghdad, spiegava, in questa intervista, chi cercava e cerca la pace e chi ha voluto e vuole la guerra, nonché qual è il vero stato del dialogo tra cristianesimo e Islam. Accanto ai ritratti insoliti di Bush e Saddam, Slamon Warduni mette anche in campo l'argomento petrolio e quello della sopravvivenza a rischio dei cristiani in Iraq.

E oggi continuiamo a dire ai nostri giovani: “Voi dovete essere portatori di pace” e lo abbiamo anche dimostrato con i fatti, aprendo spesso le nostre chiese ai musulmani bisognosi di aiuto, durante le guerre e fino ad adesso. Quindi, cari fratelli e sorelle, cerchiamo di vivere questa situazione portando la nostra croce.

Una settimana fa, io e quattro mullah, due sciiti e due sunniti, siamo andati in una località.
I due musulmani sciiti, che portano solitamente un particolare copricapo se lo sono tolti e io ho domandato loro il perché. “Perché abbiamo paura! Noi passiamo attraverso le terre sunnite… se ci vedono forse ci tagliano la gola. Gli altri, sunniti, nel Nord curdo, vivono la stessa situazione: “Se ci scoprono, c’è pericolo che ci taglino la testa”.
Vedete cosa siamo, a che punto siamo?

E voi cosa potete fare per noi? Prima di tutto, carissimi amici, dovete educare i giovani, i vostri giovani, alla fratellanza, dire no alla guerra, no all’ingiustizia e sì all’amore, alla pace, alla giustizia. No agli uomini che portano alla guerra e sì a Dio, perché è Dio che porta la pace; Lui ama l’uomo, ci ama veramente e questa è la nostra pace.

Cercate di pregare per noi, perché Dio illumini i Capi di Stato e di Governo
affinché agiscano veramente per la pace e non per gli interessi di parte, non per aggiudicarsi il petrolio, non per avere questo e quest’altro, ma solo per la pace. Così gridava Giovanni Paolo II: “Senza giustizia, senza diritti umani non c’è pace”. Infatti, l’Iraq che potrebbe essere il Paese più ricco dell’intera area mediorientale, è oggi ridotto alla povertà, era ricco di cultura e adesso è senza cultura!

Vi ringrazio per il vostro ascolto, vi ringrazio e vi auguro ogni bene.


Per approfondire:

Dichiarazione dei patriarchi e dei vescovi dell’Iraq (30 aprile 2003)
La guerra è sempre una sconfitta!
IRAQ: raccontare Baghdad
IRAQ: senza parole







 

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