La medaglia ha una sola faccia

Pubblicato il 31-08-2009

di Gianni Giletti

La medaglia ha una sola faccia

Cari amici,
durante i sei anni trascorsi nel braccio della morte, mi sono reso conto che una delle cose più difficili da fare è rendere l'idea di ciò che veramente si prova a vivere qui dentro. A volte sembra che tutte le parole del mondo non riuscirebbero a dare agli altri neppure una pallida idea dei miei sentimenti. Perché le persone si sono lasciate avvinghiare così dalle “cose” del mondo da dimenticare che come esseri umani, condividiamo TUTTI, un aspetto comune? Tutti proviamo emozioni che influenzano il nostro corpo e il nostro spirito. Qui, nel braccio della morte ho visto la nostra umanità strappata via da noi, socialmente, politicamente, spiritualmente e FISICAMENTE!

A causa degli stereotipi affibbiati ad ogni uomo qui dentro, a causa del modo in cui ciascuno di noi è stato catalogato in una stessa categoria, il mondo spesso dimentica che anche noi soffriamo, piangiamo, amiamo e desideriamo ardentemente essere amati. Mentre le persone puntano il dito contro i nostri crimini (quale uomo non sbaglia mai?) ricordiamoci di coloro che possono essere innocenti e di coloro che non si meritavano una condanna a morte (come me), ma soprattutto, perché non possiamo semplicemente rivolgerci alla nostra umanità?

Ogni medaglia ha due facce, ma la pena di morte è stata predisposta per guardarne solo una.
Mentre concentra l'attenzione sulla giustizia e sulle famiglie delle vittime, come può questo governo dimenticare così velocemente e facilmente le altre vittime: le famiglie dei prigionieri giustiziati?
La pena di morte mantiene le cose in modo da impedire alla società di vedere ciò che realmente accade qui dentro: la redenzione, l'amore, l'auto-educazione e la crescita spirituale (tenete a mente che queste cose non sono programmi offerti dal carcere, ma ottenuti con le nostre sole forze). L'analisi di questo processo sembra portare alla conclusione che attraverso la sofferenza e le avversità impariamo a diventare persone migliori, più tenere e meravigliose.
Alcuni domandano: “Ma come è possibile?”. Quando un uomo è sottoposto alla sofferenza, impara a ricercare e ad apprezzare la gioia. Quando un uomo è oppresso, impara a valutare la consolazione delle persone che lo amano. Quando un uomo deve separarsi dai suoi cari ed è sottoposto a brutalità, impara a rivolgere lo sguardo verso l'alto con umiltà, attendendo le cose semplici della vita.

Molti di noi che hanno famiglia imparano attraverso questi passaggi quanto sia preziosa la vita. Vedere le lacrime dei nostri cari al di là del plexiglas nella stanza delle visite, o sentire le grida di nostro figlio che non vuole lasciarci, ci spezza il cuore. Se potessi descrivere cosa si prova dentro, direi che ci si sente intontiti, che lo stomaco e' annodato, dolente; si prova nausea profonda.
A volte queste sensazioni diventano insopportabili. Altri che arrivano qui senza avere una famiglia, attraverso la compassione degli amici di penna e dei sostenitori, imparano cosa siano la compassione e la gentilezza, e attraverso questo meraviglioso dono imparano a distribuirne agli altri.

Parlando dei familiari, come ha potuto la nostra società diventare così crudele da ripudiare le famiglie dei prigionieri giustiziati? La vendetta ha proprio sostituito la compassione? Sembra che in America sia davvero successo. Per una madre, che differenza fa chi assassina suo figlio o il modo in cui viene assassinato? Il dolore è forse meno brutale in qualche caso? Questo governo fa presto a predicare ciò che i cittadini devono alla società, ma la società non deve qualcosa ai suoi cittadini? Non dovrebbe essere responsabile dell'amore, dell'attenzione e della protezione di tutti coloro che vi appartengono? La pena di morte e' una medaglia ad una sola faccia!
Un sistema che volta le spalle al dolore e all'ingiustizia che infligge non può aspettarsi nessuna risposta positiva. Sempre più condannati a morte si dedicano, attraverso scritti, poesie e il racconto dei loro casi personali (ossia della loro vita) a mostrare che cosa significhi possedere uno spirito.

Un dato personale: mia figlia aveva otto mesi quando arrivai nel braccio della morte nel 1997. Non la rividi fino all'estate del 1999 (lei e sua madre si trasferirono in California nel 1997) e da allora la vidi solo ogni estate. Nel 2001 venne a stare con la mia famiglia in Texas e solo di recente nel febbraio 2003 è tornata in California. E' stato in questi due anni che per la prima volta imparai e sentii che cosa vuol dire essere un padre. Abbiamo parlato, condiviso esperienze e siamo cresciuti insieme. Alcuni uomini qui non possono vedere i loro figli e altri non vogliono vederli. Quando ne ho chiesto la ragione, uno mi ha risposto (con evidente sofferenza nella voce): “Non voglio che loro mi vedano in questo modo qui dentro”. Molti dei nostri figli piccoli non capiscono il significato del
“braccio della morte”, ma sanno che cosa e' una prigione (come mia figlia).

Ma per me è un dolore maggiore non vedere il volto di mia figlia o non sentire la sua voce. Almeno adesso, grazie al tempo che abbiamo passato insieme, lei CONOSCE il suo papà e sa che le voglio bene, e in conclusione credo che questo amore avrà la meglio su tutto ciò che di negativo ci potrà essere. Ho chiesto ai miei di comprarle una collanina con un cuoricino. Le ho detto: “Dovunque andrai fa in modo che questo dono ti ricordi che io ti amo sempre e che sono sempre con te nella mente e nel cuore”. Ho aggiunto: “D'accordo?” Poi le ho chiesto di ripetere ciò che avevo detto. Con la sua vocina dolce e personalissima, ha risposto: “Se qualcuno mi chiederà del mio papà, gli dirò che e' proprio qui nella mia mente e proprio qui in questa collana”. Ho sorriso. Questo mi bastava, ma quando basterà alla società? La pena di morte è una medaglia ad una sola faccia. Per favore capovolgiamola !

Kenneth Foster Jr


Torna a Aiutatemi a salvare Kenneth

 

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok