La musica che non c'è

Pubblicato il 10-08-2011

di gianni

Bill Evans, uno dei personaggi più grandi, eppure meno considerati del jazz di tutti i tempi. Fu un pianista lirico e introverso, che in modo silenzioso, rivoluzionò e condizionò fortemente il pianismo jazz degli anni 50 - 60.

di Gianni Giletti

 
Bill Evans nasce nel New Jersey nel 1929 e comincia a suonare da professionista non giovanissimo, dapprima con il clarinettista Tony Scott, poi come leader di un trio, arrivando in seguito a suonare con artisti del calibro di George Russel e Charles Mingus. Nel 1958 la prima svolta, l’incontro con Miles Davis con cui incide Kind of Blue, uno dei pilastri del jazz moderno. 
 
Si dice che Evans ha avuto sui pianisti la stessa importanza che John Coltrane ebbe sui sassofonisti. In effetti il suo stile raffinato, lirico ma contemporaneamente molto swingato ha ancora oggi uno stuolo di imitatori e ammiratori. Evans ammalia chi lo ascolta per la capacità di creare quelle atmosfere tipiche della musica classica pur suonando jazz.Dopo Kind of blue, Evans lasciò Davis quasi subito per formare il suo trio, a cui si dedicò in maniera quasi totale.
 
Le sue incisioni con Scott Lafaro (basso) e Paul Motian (batteria) - incise con l’etichetta Riverside - sono tra le cose più belle che il cool jazz - quel jazz cioè lento, lirico, melodico, nato all’inizio degli anni 50 - abbia creato. L’impovvisazione collettiva di questo gruppo portò ad innovazioni ritmiche, in particolare per il basso utilizzato non più solo per segnare il tempo, ma consacrò soprattutto il pianoforte di Evans per quell’approccio “impressionistico” che ebbe così tanta influenza ed imitatori in seguito. Ci furono però anche molte critiche - soprattutto incomprensioni - sul suo stile ed anche musicisti famosi non ebbero parole tenere nei confronti del Nostro. “Pianista da bar” “poco interessante, ovvio e mancante di vitalità” “inutile” furono alcuni dei giudizi più acidi nei suoi confronti.
 
La morte improvvisa di Lafaro privò Evans del suo partner più congeniale e le incisioni successive non furono più all’altezza delle prime.Evans registrò anche alcuni album per piano solo di cui il più interessante fu Conversation With Myself; quindi fece duetti con Jim Hall, Bob Bookmeyer e Tony Bennet e in gruppi più grandi con musicisti del calibro di Koenitz, Sims e Hubbard. Verso la fine della sua vita - morì nel 1980 - stava tentando di costruire un nuovo trio con Marc Johnson e Joe Labarbera, in cui stava ritrovando nuovi stimoli e slanci.L’influenza di Evans si sente su parecchi musicisti più noti di lui al grande pubblico - Herbie Hancock, Keith Jarret e Chick Corea, tanto per citarne alcuni - ma anche su personaggi più recenti - uno su tutti, Michael Petrucciani - dimostrando così come la sua musica e il suo stile siano ancora oggi attuali.
Gianni Giletti
 
 
 

 

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