La vita all’improvviso

Pubblicato il 10-08-2012

di Elena Canalis

di Elena Canalis - Angela, Wilma, Anna. Tre donne, tre famiglie, tre esperienze. Nude di fronte all’imprevisto che ti taglia la strada, toglie il respiro e ti costringe a cambiare. “Ho due bambine che frequentano la scuola dell’infanzia. Mio marito è un fresatore specializzato, ma nonostante la sua professionalità peculiare non riesce a trovare altro che contratti a tempo determinato, da quando l’azienda presso cui ha imparato il mestiere è fallita. Quando siamo fortunati lavora dieci mesi l’anno, altre volte anche solo cinque. Io ero il punto di riferimento stabile della nostra piccola economia domestica perché, operaia, avevo un contratto a tempo indeterminato. Poi la mia azienda è stata venduta e l’acquirente ha deciso che era necessario razionalizzare le proprie unità produttive portando progressivamente alla chiusura il mio stabilimento. Così da due anni sono in cassa integrazione. Lavoro due settimane al mese, quando sono fortunata tre. La nostra economia domestica si è decisamente e costantemente impoverita”. Così mi racconta Angela, una mia ex compagna del liceo, quando la incontro dopo qualche anno in cui non ci eravamo più viste. Una storia simile a tante altre che ultimamente ascolto. Le ascolto impotente. Però le ascolto attenta, perché al di là dei dettagli spesso scorgo tratti speciali. Come in Angela. Le chiedo “come stai?”. Mi colpisce la risposta. “Sai, ho deciso di smettere di lamentarmi.

All’inizio non facevo altro. Poi sono riuscita a spostare il mio sguardo su altro e ho visto. Ho visto che io e mio marito continuiamo ad amarci nonostante le difficoltà economiche. Ho visto le mie bambine crescere felici nonostante non possiamo dare loro vacanze, giochi, svaghi, alle volte anche le piccole attività extra che la scuola propone a pagamento…È dura. Certe volte è durissima. Ma voglio farcela e ce la stiamo mettendo tutta, tutti insieme. Siamo una squadra. Non so se lo saremmo stati così, senza queste difficoltà”. Anche Wilma si è trovata come Angela, d’improvviso scalza. “Lavoravo nell’azienda di famiglia che faceva piccoli assemblaggi per l’automotive. Poi la progressiva riduzione delle commesse. Abbiamo iniziato a licenziare operai che erano con noi da sempre. È stato molto doloroso, ma non potevamo fare in modo diverso. Nonostante questo siamo arrivati al fallimento in meno di un anno e mezzo. È stato un processo così rapido che ancora oggi, dopo oltre tre anni, non riesco a rendermi conto di quanto è successo. Mio fratello che lavorava con noi e si era appena sposato, è riuscito a trovare un altro lavoro. Mio padre oggi è in pensione.

Io invece continuo a essere disoccupata… e sola. Mio marito che lavorava come impiegato in un’altra azienda è stato messo in cassa integrazione a zero ore. Ha passato mesi di depressione e forse questo stato lo ha condizionato nelle sue scelte e ha deciso di lasciarci, me e la mia bambina, ed è partito per l’estero. Una settimana fa, la nostra famiglia ha deciso di vendere la casa di proprietà dove abitavamo per saldare definitivamente i debiti che ancora ci portavamo sulle spalle per il fallimento. Ricomincerò dal prossimo mese a vivere con i miei genitori e la mia bambina, in affitto, provando a sopravvivere tra la pensione di mio padre e le ore di pulizia che faccio”. Non riesco a dire niente a Wilma. Solo il silenzio. È lei che parla. “Sai, in questi mesi mi sono accorta di come il legame con i miei genitori sia forte. Se non ci fossero loro non so come farei, né io né la mia bambina”. Nella famiglia di Giovanni e Anna invece, lui lavorava e lei badava ai loro tre bambini.

Poi è arrivata la grave malattia di lui. Anna mi racconta “Stava per scadere il tempo del contratto determinato di Giovanni. Era un ottimo magazziniere e quindi lo avrebbero confermato con il tempo indeterminato. Poi Giovanni si è sentito male e abbiamo scoperto il suo grave problema all’intestino. Subito l’operazione, la convalescenza… ovviamente l’assenza dal lavoro. Dopo un mese ci è arrivata la lettera del capo del personale: non confermavano il lavoro a Giovanni. Si è abbattuto sulla nostra casa un nuovo uragano oltre a quello della malattia. Ho subito cercato un lavoro ed ho trovato amici dove non mi aspettavo che mi hanno aiutato e procurato un posto come bidella. Da allora è passato un anno. È dura vivere in cinque con uno stipendio da bidella. Giovanni ha ancora la salute troppo precaria per poter lavorare. Così dobbiamo arrangiarci e chiedere aiuto. Ho trovato una rete di amici che ci sostengono, anche con pacchi di vestiti e di alimenti. Non mi sarei mai aspettata di dover chiedere aiuto per mangiare”. Mi porto nel cuore e nella preghiera le loro storie. Mi porto nel cuore la loro esperienza viva di come i rapporti umani siano tornati al centro della loro vita da scalzi.

NPSPECIAL - CAMMINARE SCALZI 3/7

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