L'amore non muore

Pubblicato il 30-10-2012

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Le lacrime allargano la vita e fanno capire meglio la disperazione degli uomini. L’Arsenale ha raccolto il pianto di migliaia di persone. Storie con un volto, come quello di Alessandro: una tragedia assurda. Ma nella condivisione, è possibile continuare ad aggrapparsi alla vita. La sofferenza non ha l’ultima parola.

C’è una frase di sant’Agostino che non mi va giù. È una poesia in cui la madre del santo, dopo la sua morte, si rivolge al figlio: “Se conoscessi il mistero immenso del Cielo dove ora vivo, questi orizzonti senza fine, questa luce che tutto investe e penetra, non piangeresti se mi ami!”. Conclusione: “Se mi ami veramente non piangere”. Questa frase mi colpisce da sempre, perché al contrario, la vita mi ha insegnato a dare molta importanza al pianto.
Per me, le lacrime sono un dono. Quando mia mamma morì, mi sentii perso. Piansi disperatamente e mi sembrava che quelle lacrime non avessero fine. Più piangevo e più sentivo mia mamma presente e mi sentivo meno disperato.

È un mistero, ma le lacrime allargano la vita e fanno capire meglio il dolore delle persone disperate, specie quelle che non hanno fede. Attraverso le lacrime, scopro sempre di più che il Cielo è unito alla terra e che una madre continua a fare la madre, un fratello il fratello, un figlio il figlio. In questa prospettiva, il pianto è l’unica espressione realmente umana che abbiamo. Perché io piango solo se amo veramente.
L’Arsenale ha raccolto le lacrime di tantissime persone.

Abbiamo visto tutto e apparentemente il contrario di tutto. Storie con un volto, una parola, una tragedia, un pianto. Nessuna fantasia. Tempo fa è entrato nella mia vita un uomo di una quarantina d’anni, Alessandro, che aveva il volto segnato. In poche parole, mi ha raccontato la sua storia. È il papà di Cecilia, una ragazza di 17 anni morta nel 2009, in un incidente stradale evitabile. Cecilia era sulla sua Vespa 125, quando è stata urtata lateralmente dall’auto guidata da un anziano di 81 anni, sordo. Un tamponamento banale che in una situazione normale non avrebbe avuto conseguenze. Quell’uomo, però, non si era accorto di nulla e  aveva agganciato la Vespa, trascinando Cecilia per 40 metri. Per i soccorsi non c’era stato nulla da fare. Cecilia era morta.

Ascolto con un dolore infinito il racconto di Alessandro. Mi aspetto una sequela di insulti, di rancore, di rabbia. Sentimenti comprensibili di fronte ad una tragedia simile, a maggior ragione quando sono passate appena poche settimane. Invece l’uomo che ho davanti mi sorprende, lasciandomi senza parole. “Ernesto, io ho accolto il dolore a braccia aperte”. Non credo alle mie orecchie: “Sogno? Un uomo che riceve il dolore più atroce per un padre, parla in questo modo?”. Alessandro apre ancora il cuore. “Ho accolto davvero il dolore a braccia aperte, so che la mia vita continuerà ad essere piena di impegni, ma voglio che ogni cosa sia vissuta anche per mia figlia”.

Vedo la foto di Cecilia: è bellissima, un volto solare che esprime la vita e tutti i sogni di una ragazza di 17 anni. Mentre ascolto Alessandro e lo vedo trattenere le lacrime, lo stupore mi prende. Non so abituarmi all’umanità che incontro, mi chiedo sempre come mai l’Arsenale sia per tanti un rifugio di preghiera, di consolazione, di speranza. Un dono immenso che non smette di commuovermi. Ora ho davanti un uomo che dopo appena due mesi dalla morte tragica della figlia dice di voler andare avanti per fare del bene, consapevole che il dolore non ha l’ultima parola e che la chiave per essere felici, nonostante tutto, è fare felici gli altri. Alessandro mi ha allargato la visuale. Ne ho viste davvero tante, ma non avevo ancora incontrato un padre che dice di voler accogliere il dolore a braccia aperte. Alessandro mi ha cambiato la vita e mi piacerebbe che l’Arsenale diventasse per sempre la sua casa.

Grazie a lui, ho capito che la Chiesa, tutti noi, possiamo essere punti di riferimento se non smettiamo di asciugare le lacrime. Credo che anche Cecilia adesso lo sappia e dal paradiso avrà un occhio particolare per questa casa. Qui, suo papà, come tanti altri feriti dalla vita, ha potuto portare il suo dolore, la sua disperazione. Soprattutto, la sua speranza.


Speciale – LACRIME CON LE BRACCIA APERTE 1 / 8

Il dolore subìto e il dolore accolto, il dolore condiviso e il dolore disperato, il dolore del corpo e il dolore dell’anima. L’esperienza dell’uomo di ieri e di quello di oggi. Giovani e anziani, poveri e ricchi, forti e deboli: tante risposte, la stessa ferita, in ogni angolo del mondo. Un viaggio dentro le pieghe e le contraddizioni del più grande tabù dell’umanità, una ricerca di senso che può incontrare la speranza.

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