Le fonti rinnovabili

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea


Oggi, 16 febbraio ’05 entra in vigore il Protocollo di Kyoto, il documento che impegna 140 Paesi a ridurre le emissioni dei gas ritenuti responsabili del surriscaldamento del pianeta.

... Leonardo Libero

Sempre più è percepito come inevitabile aumentare lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili. I motivi sono principalmente due: la tutela dell’ambiente e il “picco del petrolio”; più un terzo, meno noto, ma non meno reale: la necessità di decentralizzare la produzione elettrica. Qual è la situazione in Italia?

L’ambiente
Al riguardo gli scienziati sono discordi. I media riportano in genere il parere di quelli che ritengono causati dall’uomo, cioè antropici, l’aumento della CO2 nell’atmosfera, da cui l’effetto serra, da cui il riscaldamento globale, da cui i mutamenti climatici sempre peggiori fino a conseguenze disastrose per l’umanità. Ma ci sono anche scienziati secondo i quali, ammesso pure che quei fenomeni siano correlati, o ammesso perfino che esistano e siano da temere, essi non sono di origine antropica, se non forse in misura minima; per cui il protocollo di Kyoto è inutile.
Dice ad esempio Franco Battaglia, docente all’Università di Modena e co-fondatore di Galileo 2001, associazione per la libertà e la dignità della scienza (www.galileo2001.it), che:
· l’atmosfera contiene, di suo, 3.000.000 megatonnellate di CO2;
· l’uomo ve ne immette, ogni anno, 6000 tonnellate; di cui 3000 da Paesi industrializzati e 3000 da quelli in Via di Sviluppo;
· Kyoto prevede che i Paesi industrializzati – non gli altri – riducano le loro emissioni del 5,5% rispetto al 1990, cioè che le emissioni si riducano da 6000 a 5850 megatonnellate l’anno: una riduzione risibile, tanto più che il principale gas-serra non è la CO2, ma il vapore acqueo. Anche gli scienziati favorevoli al protocollo di Kyoto convengono sulla sua larga insufficienza; però, dicono, è almeno un primo passo. Anche salire su uno sgabello è un primo passo verso la Luna, replicano gli altri. Le industrie nazionali, specie le grandi energivore – carta, cemento, chimica e acciaio – prevedono che Kyoto comporterà per i loro costi aumenti tali da rendere minor male l’acquisto di certificati verdi – in sostanza, licenze di inquinare – da Paesi più virtuosi sotto l’aspetto ambientale e tali da comunque compromettere la loro competitività.

Il “picco del petrolio”
Su di esso esiste ormai una larga convergenza. Negli anni ’60 un geologo della Shell, King Hubbert, aveva elaborato una teoria secondo la quale la disponibilità, nel tempo, di beni non illimitati segue una curva “a campana” ed aveva individuato la serie di dati e calcoli con cui prevedere il “picco” di disponibilità per un dato bene. Il cui prezzo quindi, oltrepassato il picco, potrà solo aumentare.
Hubbert aveva ad esempio previsto per il 1970 il “picco” del petrolio estratto negli USA. Considerato un visionario, i fatti gli avevano poi dato ragione. Altre verifiche, anche a posteriori, della sua teoria sono state il picco del carbone estratto in Pennsilvania (1924) quello del petrolio in URSS (1990) e quello del petrolio del Mare del Nord (1999).
Ebbene, il picco mondiale del petrolio, considerate tutte le possibili vie di estrazione, nella “curva di Hubbert” riprodotta qui a fianco è previsto per il 2010, che è come dire per domani mattina.

Per saperne di più:
L’ASPO – Association for the Study of Peack Oil - studia il fenomeno dell’esaurimento delle riserve petrolifere. La sua sede italiana è presieduta dal prof. Ugo Bardi dell’Università di Firenze.
www.aspoitalia.net

La decentralizzazione elettrica
L’eventualità che la caduta di un albero in Svizzera possa lasciare al buio la Sicilia sembrerebbe assurda. Ma proprio questo è avvenuto in quel 2003 che ha visto estesi e lunghi black out anche in USA, Canada, Inghilterra, Svezia e Danimarca.
Ebbene, tre gruppi di esperti americani, indipendenti fra loro e seguendo percorsi diversi, sono arrivati alla conclusione che i grandi black out elettrici sono inevitabili: acts of God, (atti di Dio), come gli anglofoni definiscono le calamità naturali (Roberto Vacca, Il Messaggero, 29 settembre 2004). Per due di quei gruppi, è soprattutto la grande complessità strutturale e quella operativa nello spazio e nel tempo a rendere “cagionevole” un sistema centrali-rete-utenze. Già da diversi anni, del resto, molti esperti mondiali raccomandavano di decentralizzare per motivi tecnici: produrre elettricità vicino a dove è richiesta; così da evitare le dispersioni che si verificano nel trasporto sulle lunghe distanze; e da diradare nel tempo, o meglio ancora eliminare, la costosa necessità periodica di adattare la portata delle reti all’aumento della richiesta.

Il “caso Italia”
Il massimo e il meglio della decentralizzazione elettrica è un generatore per famiglia, per edificio o per azienda. E almeno tre fonti rinnovabili si prestano molto bene allo scopo: la fotovoltaica, la mini-idro e la mini-eolica, ma solo la prima ha trovato fin’ora applicazioni di massa. I piccoli generatori FV locali, collegati alla rete elettrica, alla fine del 2003 costituivano circa 1400 dei circa 1800 Mega Watt FV (Watt fotovoltaici) totali operativi nei 20 Paesi industriali considerati dalla IEA – International Energy Agency.

Graduatoria in Watt FV
per abitante dei 20 Paesi considerati dalla IEA:
Giappone 6,74
Germania 4,97
Svizzera 2,88
Olanda 2,83
Australia 2,29
Austria 2,05
Norvegia 1,44
USA 0,94
Spagna 0,68
Finlandia 0,66
Italia 0,45
Svezia 0,40
Canada 0,37
Danimarca 0,35
Francia 0,35
Portogallo 0,20
Messico 0,19
Nord Corea 0,13
Gran Bretagna 0,10
Israele 0,09

Una classifica (scheda graduatoria – ndr.) nella quale almeno 7 dei 10 Paesi che superavano il nostro sono molto meno soleggiati e molto più autonomi per l’energia. Ancor più deprimente la posizione dell’Italia per incremento FV 2002-2003; che è stato solo del 18,4% e inferiore a quelli di: Olanda 73.1%, Austria 63,1%, Gran Bretagna 42,8%, Germania 39,2%, Spagna 36,0%, Giappone 34,8%, Portogallo 25.0%, USA 23,7%, Danimarca 20,7%.
Anche come tendenza andavamo peggio di troppi altri e non siamo migliorati. Questo è il frutto di una politica energetica evanescente che, nel “Paese del Sole”, ha rinunciato alla fonte nucleare – potente, comunque la si giudichi per altri aspetti – e l’ha sostituita col nulla. Peggio, di una politica che ha lasciato che l’Enel ostacolasse le fonti rinnovabili – esercitando poteri normativi riservati solo al CEI dalla Legge vigente, la 186/1968 – e che l’Enea addirittura lo appoggiasse. Peggio del peggio, di una politica che dal 1991 a oggi ha raggirato gli italiani per oltre 60.000 miliardi delle vecchie lire – come ha accertato la X^ Commissione della Camera – imponendo sovrapprezzi elettrici per “sostegno alle fonti rinnovabili” e poi impiegando la gran parte del gettito per finanziare fonti inquinanti come i rifiuti non biodegradabili e soprattutto i residui di raffineria petrolifera: “Una tassa occulta in favore dei petrolieri”, l’ha definita l’onorevole Tabacci.

Mentre scrivo, la radio annuncia che la bolletta energetica italiana risulterà aumentata nel 2004 di 2 miliardi di euro rispetto al 2003, arrivando così a 28,8 miliardi (4,8 in più della Legge Finanziaria). E sui quotidiani ci sono, fra le tante, due notizie: che Bin Laden ha esortato i suoi ad attaccare pozzi, oleodotti e raffinerie, in modo da far arrivare il petrolio a 100 $ il barile e così soffocare l’Occidente e che, inoltre, le indagini sul “caso Enipower” hanno fatto scoprire che metà di una mazzetta da 2,5 milioni di dollari su petrolio libico fu suddivisa fra due funzionari Agip, azienda fin qui non ancora toccata dall’inchiesta della Procura di Milano. “Il petrolio sporca” diceva già negli anni ’40 mio padre (classe 1877).



Leonardo Libero
(direttore di “Energia dal Sole”)
da Nuovo Progetto Febbraio 2005






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