Le quattro sfide di Papa Wojtyla

Pubblicato il 31-08-2009

di Aldo Maria Valli


In tutto il mondo si dà l’ultimo saluto ad un Papa che ha fortemente segnato il nostro tempo. Nel suo
testamento Giovanni Paolo II invita la Chiesa a “vegliare”: vegliare sui bisogni dell’uomo, vegliare per difendere il mondo dalle minacce del male, vegliare per tenere viva la speranza di un mondo migliore per il quale lui stesso ha sempre lavorato. Abbiamo scelto di ricordarlo attraverso uno dei suoi ultimi discorsi, quello rivolto agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede il 10 gennaio 2005, nel quale il Santo Padre ha delineato le quattro sfide decisive di questo tempo.

di Aldo Maria Valli

“La Chiesa cattolica, per la sua natura universale, è sempre direttamente coinvolta e partecipe alle grandi cause per le quali l’uomo di oggi soffre e spera. Essa non si sente straniera alcun popolo, perché ovunque c’è un cristiano suo membro, tutto il corpo della Chiesa ne è coinvolto; ben più, ovunque c’è un uomo, lì v’è per noi un vincolo di fratellanza.” È l’inizio del discorso rivolto dal Santo Padre al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Ricordando il messaggio rivolto per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, il Papa prosegue: “Questo stesso messaggio – vinci il male col bene – vorrei ora rivolgere a Voi, Signori Ambasciatori, e per Vostro tramite ai diletti popoli che Voi rappresentate, ed ai Vostri Governi: esso ha una sua precisa valenza anche nei rapporti internazionali, e può guidare tutti nel rispondere alle grandi sfide dell’umanità di oggi.”
Non lasciarti vincere dal male
ma vinci con il bene il male




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Alla luce dell’esortazione di san Paolo (Rm 12,21), il Papa invita tutti a non lasciarsi sopraffare dall’angoscia e dal pessimismo che possono essere innescati dalle tragedie che recentemente hanno coinvolto tante popolazioni in diverse parti del mondo. Di fronte a fatti devastanti come la catastrofe dello “tsunami” nell’Oceano Indiano, la strage dei bambini nella scuola di Beslan, il terrorismo, i conflitti dimenticati che continuano ad insanguinare l’Africa, Giovanni Paolo II propone l’immagine della culla di Betlemme: “In Cristo, che nasce fratello di ogni uomo e si pone al nostro fianco, è Dio stesso che ci rivolge l’invito a non lasciarci mai scoraggiare, ma a superare le difficoltà, per quanto grandi esse possano essere, rafforzando e facendo prevalere i comuni vincoli di umanità su ogni altra considerazione”.

Il Papa individua poi quattro sfide ritenute decisive per il futuro dell’umanità: la difesa della vita fin dal concepimento, l’equa distribuzione dei beni, la costruzione della pace senza violenza, la promozione della libertà sia delle persone sia degli Stati.

La sfida della vita
Con uno sguardo che è stato definito “profetico e rivoluzionario insieme”, il Papa vede nella difesa della vita nascente la prima questione da porre nella costruzione di una convivenza nuova, fondata non sulla violenza e sulla sopraffazione ma sul riconoscimento e sul rispetto della dignità di ogni uomo, a cominciare dal più debole e indifeso. Con l’appoggio non solo della fede, ma anche della ragione e della scienza, la Chiesa afferma che “l’embrione umano è soggetto identico all’uomo nascituro e all’uomo nato che se ne sviluppa. Nulla pertanto è eticamente ammissibile che ne violi l’integrità e la dignità”. Poiché “la vita è il primo dono che Dio ci ha fatto, è la prima ricchezza di cui l’uomo può godere”, occorre ripartire proprio da qui, da questa consapevolezza. Come ha osservato padre Giovanni Marchesi sulla “Civiltà cattolica”, su questo tema il Papa non usa argomentazioni confessionali. Entrando coraggiosamente nel dibattito in corso sulle questioni della procreazione assistita, dell’aborto, dell’impiego di cellule staminali embrionali a scopo scientifico e della clonazione umana, Giovanni Paolo II stabilisce un punto fermo: la ricerca scientifica in campo genetico va “incoraggiata e promossa”, ma occorre dire senza reticenze che non è degna dell’uomo quando degrada l’embrione a strumento di laboratorio. Anche la ricerca, come ogni altra attività umana, “non può mai essere esente da imperativi morali”.

Vero e proprio baluardo a difesa della vita (il Papa parla di “sacrario della vita”) resta la famiglia, che pertanto va difesa dalle pressioni che vorrebbero renderne sempre più difficile la stabilità. A proposito di riconoscimento delle coppie di fatto e di pretesi “matrimoni” tra persone dello stesso sesso, l’ammonizione è severa: “Non si lasci che la famiglia, fonte feconda della vita e presupposto primordiale e imprescindibile della felicità individuale degli sposi, della formazione dei figli e del benessere sociale, anzi della stessa prosperità materiale della nazione, venga minata da leggi dettate da una visione restrittiva e innaturale dell’uomo”.

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La sfida del pane
Sottolineata la sacralità della vita come dono e valore da mettere al centro di ogni azione a favore dell’uomo, il Papa si interroga sulle possibilità materiali di garantire alla vita sussistenza e sviluppo. Si pone qui la questione irrisolta della fame e degli impressionanti squilibri nella distribuzione delle risorse. In un mondo in cui più di ottocento milioni di esseri umani non possiedono il necessario per sfamarsi, una quota praticamente identica di persone è alle prese con il problema della sovralimentazione e dell’obesità. Una vergogna di fronte alla quale Giovanni Paolo II fa appello alle coscienze.

Dopo aver espresso apprezzamento per gli sforzi delle grandi organizzazioni internazionali e non governative, il Papa dice chiaramente che tutto ciò non basta: “Per rispondere al bisogno che cresce in vastità e urgenza, si richiede un’ampia mobilitazione morale dell’opinione pubblica, e ancor più dei responsabili politici, soprattutto di quei Paesi che hanno raggiunto uno standard di vita soddisfacente e florido”. A questo proposito Giovanni Paolo II ripropone il principio della destinazione universale dei beni, centrale nella sua riflessione sulla globalizzazione e sulla cittadinanza mondiale: “È un principio che non giustifica certo forme collettivistiche di politica economica, ma che deve motivare un radicale impegno di giustizia e un più attento e deciso sforzo di solidarietà. È questo il bene che potrà vincere il male della fame e della ingiusta povertà”.

La sfida della pace

Strettamente connessa alle prime due è la terza sfida, quella della pace, sogno ancora lontano per milioni di persone in ogni parte del mondo a causa di guerre, conflitti armati che provocano innumerevoli vittime innocenti e sono fonti di tanti altri mali, ai quali si aggiunge “il fenomeno crudele e disumano del terrorismo, flagello che ha raggiunto una dimensione planetaria”. Come vincere questa sfida che appare impossibile? A questo proposito il Papa è categorico. Con parole che volutamente richiamano quelle pronunciate a più riprese prima e durante la guerra in Iraq, afferma: “Alla prepotenza si deve opporre la ragione, al confronto della forza il confronto del dialogo, alle armi puntate la mano tesa, al male il bene”.

È un nuovo no alla logica della guerra preventiva, ed è una nuova richiesta di valorizzazione del diritto nell’affrontare le controversie internazionali. Che questa sia l’unica via percorribile è confermato dai segnali incoraggianti in arrivo dalle relazioni fra israeliani e palestinesi, ma l’esempio più importante di pace possibile – sottolinea il Papa polacco, che ha fatto esperienza diretta del nazismo e del comunismo – è la nostra vecchia Europa, dove Nazioni un tempo opposte da guerre micidiali si ritrovano oggi riunite con fiducia in un organismo, l’Unione europea, che grazie al trattato costituzionale sottoscritto a Roma si propone di consolidarsi ulteriormente e, grazie all’allargamento, rende più vasto il campo dei Paesi impegnati in un concreto sforzo di pace.

La sfida della libertà
Eccoci così all’ultima indicata dal Papa, quella della libertà, “un bene grande, perché solo con essa l’uomo può realizzarsi in maniera rispondente alla sua natura”. Un bene nel cui nucleo più intimo c’è una libertà sulla quale Giovanni Paolo II invita a riflettere con particolare attenzione: quella religiosa. Il pontefice si rivolge sia ai Paesi non cristiani in cui la Chiesa cattolica continua a essere ostacolata, discriminata o addirittura non ammessa, sia a quei Paesi, come Spagna e Italia, che pur essendo di antica tradizione cattolica stanno vivendo una realtà in cui il rapporto tra Stato e Chiesa è oggetto di rinnovate controversie: “L’anelito alla libertà di religione non è sopprimibile: esso rimarrà sempre vivo e pressante, finché sarà vivo l’uomo”.

Ben consapevole dell’uso distorto della religione che spesso viene fatto per giustificare fanatismo e intolleranza, ma anche dei limiti che in certi casi si vogliono imporre alla libertà religiosa vista come ingerenza inammissibile nelle questioni riguardanti la convivenza civile, Giovanni Paolo II tiene a sottolineare che un bene così grande, così connaturato all’uomo, a qualunque cultura appartenga, non va visto con sospetto, ma con fiducia. “Non si tema che la giusta libertà religiosa limiti le altre libertà o nuoccia alla convivenza civile. Al contrario: con la libertà religiosa si sviluppa e fiorisce anche ogni altra libertà: perché la libertà è un bene indivisibile, prerogativa della stessa persona umana e della sua dignità”. Né si deve temere che la libertà religiosa, “una volta riconosciuta alla Chiesa cattolica, sconfini nel campo della libertà politica e delle competenze proprie dello Stato: la Chiesa sa ben distinguere, come è suo dovere, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio”. Se la Chiesa chiede e rivendica spazi di libertà non è per sete di potere, ma “per poter offrire un valido servizio di collaborazione con ogni istanza pubblica e privata preoccupata del bene dell’uomo”.
In conclusione, l’ammonimento di san Paolo sull’uso del bene come forza per vincere il male è, attraverso le parole del Papa, quanto mai attuale e coinvolgente. Chi vuole davvero lavorare a favore dell’uomo, per la pace, la giustizia e la libertà, non si limiti a pronunciare dei no, ma sia propositivo. Solo l’amore può vincere l’odio e l’egoismo.


Aldo Maria Valli
da Nuovo Progetto marzo 2005
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