L’IMPRONTA ECOLOGICA

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea


Da tempo si richiede di ragionare non solo in termini puramente economici (creare sviluppo e ricchezza) ma anche di regolare l’attività dell’uomo in modo che l’uso delle risorse (ad esempio acqua e aria) non sia più rapido del tempo necessario per riprodurlo, che si soddisfino i bisogni presenti senza pregiudicare le possibilità delle generazioni future.



Perché questo non sia solo un desiderio, è necessario misurare il "carico" umano sulla terra, cioè quanto uso di energia, quanti consumi, quanti rifiuti, quanta estrazione di capitale della natura è possibile che il nostro pianeta sopporti.
Per fare questo non basta essere ad esempio preoccupati dell'enorme popolazione mondiale, ma capire che il "peso" dell'uso delle risorse dipende dai nostri stili di vita, dai consumi pro-capite, dalle tipologie di produzione, dalle tecnologie, dalle concentrazioni nelle grandi megalopoli, dai rifiuti prodotti, da come li trattiamo…
Un indicatore a cui riferirsi per capire dove stiamo andando
Qui la discussione spesso si trasforma in uno scontro tra pessimisti e ottimisti. Ci vogliono degli indicatori con cui confrontarsi che siano rilevanti e comprensibili, che interpretino lo "stato" dell'ambiente accanto alle analisi economiche, che ci inducano a reazioni, cambiamenti positivi, forniscano qualche indicazione per le decisioni che i vari soggetti (istituzionali, politici, produttivi, famiglie, singoli…) devono prendere quotidianamente.
C'è chi ha proposto un metodo che può essere applicato sia a livello micro che macro, a livello locale come a livello nazionale, o del mondo. Si chiama il metodo dell'impronta ecologica.
Semplificando la proposta è di calcolare l'area totale (espressa in ettari - un ettaro equivale a 10.000 mq.) di ecosistemi terrestri e acquatici produttivi (boschi, campi, zone marine pescose…) che sono necessarie per produrre le risorse e i beni che consuma una certa popolazione in una certa zona (es. gli abitanti della Provincia di Torino, o dell'Italia) e anche - non dimentichiamolo- per assimilare i rifiuti e gli scarichi come le emissioni di anidride carbonica.
Un calcolo indicativo per orientarsi
La domanda che ci viene proposta è quanta terra ciascuna persona richiede per essere "sopportata" dalla natura, dal nostro pianeta?
Con un calcolo (con possibilità di errore dal 5 al 30% in base alla precisione della statistiche che possediamo) può dirci quanti campi per produrre il grano e la pasta e il riso che consumiamo, quanto costa marina per i pesci, quante foreste per produrre legno, boschi per riassorbire l'anidride carbonica prodotta dalle auto, dalla produzione di energia…
L'impronta ecologica (il nostro "peso") ci dice quanto territorio, risorse naturali utilizzate per il consumo di una popolazione non sono più a disposizione di altri.
Se in Italia l'impronta è di 4,2 ettari pro-capite mentre la disponibilità effettiva sarebbe di 1,3 ettari si ha un deficit ecologico: ci vorrebbero altre due italie per soddisfare i nostri livelli di consumo e produzione di scarti. Vuol dire che noi stiamo utilizzando territori di altri paesi. L'impronta ecologica ci dice anche qual è la responsabilità che ogni nazione ha sul consumo mondiale di risorse naturali. Se ogni abitante della terra avesse la stessa "impronta" di un abitante di un paese ricco dovremmo avere tre pianeti a disposizione, ma di terra ne abbiamo una sola! In soli 30 anni il peso dell'uomo sul pianeta è aumentato del 50%: ma c'è chi ha un "piedino" da cenerentola e chi invece da "giocatore di pallacanestro"! Ci sono forti squilibri di produzione e di consumo (livelli diversi di povertà sono anche scarsità di occasioni, di disponibilità ad es. energia e acqua).
Un metodo per cambiare rotta e comportamenti
Se analizziamo i nostri consumi (ad esempio della nostra famiglia) in termini di energia, acqua, trasporti, rifiuti… scopriamo che possiamo modificare i nostri comportamenti riducendo e aumentando l'impronta. Così succede anche a livello locale: se un ente locale opera in modo da ridurre l'uso di petrolio per il riscaldamento (vedremo come) riduce la sua impronta complessiva.
Non è una teoria quindi che è contro il commercio e le tecnologie (quanti vantaggi hanno portato alla nostra vita e al sud del mondo!) ma un indicatore che ci spinge tutti a guardare alle conseguenze del nostro operare quotidiano in ogni parte del mondo.
Nuovi comportamenti collettivi e individuali
Si possono fare piani di azione a livello locale, come a livello globale (i piani di azione sono fatti di obiettivi, azioni - attente alle culture e al territorio locale - e precisi soggetti in grado di praticarli, ognuno con la sua responsabilità) per uno sviluppo sostenibile, attento alla nostra qualità della vita e insieme al mantenimento delle risorse per le generazioni future?
Anche in questo caso è stata studiata una risposta che si chiama Agenda 21. Ancora una volta un metodo concreto che però bisogna attivamente percorre e applicare. Ma di questo ce ne occupiamo la prossima volta.

Per approfondire:
Un libro: chi ha inventato il metodo dell'impronta ecologica: Wackernagel M., Rees W., L'impronta ecologica Edizioni Ambiente 1998.

Un sito: tra le associazioni ecologiste che hanno introdotto questo tema citiamo il WWF: www.wwf.it







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