È l’ira di Dio

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

James N. Rosenberg, Dies irae
È l’ira di Dio, si dice davanti alla catastrofi che spazzano e spezzano vite innocenti e fanno più poveri i già poveri dei poveri. I modi di dire popolari non sempre, non spesso sono dettati dalla vera sapienza. Il dolore degli innocenti è un mistero religioso, che l’espressione “ira di Dio” presume di spiegare in modo tutto umano.

La fede cristiana non dà nessuna “soluzione” al problema del male. I Padri della Chiesa dicevano che il problema non era speculare sul male, ma combattere il Maligno. Uno di loro pregava: “Signore, preservaci dai ragionamenti inutili sul male e liberaci dal Maligno…”. Gogol – che come Dostoievskij e tutti gli artisti veri cercava risposte teologiche attraverso la sua arte –, in un celebre racconto narra di un vecchio usuraio che chiede a un pittore di fargli un ritratto. Lo so che devo morire, spiega il vecchio all’artista, ma non voglio morire del tutto. Giovan Francesco Gonzaga, Dies iraeVorrei che tu mi facessi un ritratto dove io sembri ancora vivo. Il pittore accetta, e il volto dell’uomo gli riesce così bene e gli occhi emanano una tale forza vitale che lui stesso ne ha paura; comincia a sentirsi depresso, come gravato da un peso terribile, afferrato da un senso di morte che gli impedisce di portare a termine il quadro.
Il vecchio lo supplica, ripete che solo la forza soprannaturale emanante da quel dipinto gli permette di esistere e di essere presente in questo mondo. Potrà andarsene solo a ritratto finito, quando questa mostruosa “natività” sarà diventata icona del Maligno – altri non è il vecchio usuraio –, suo tramite della sua presenza nel mondo, luogo sicuro da cui irradiare le sue energie perverse. Quando il figlio del pittore cercherà di distruggere il quadro, il volto informe scomparirà per ricomparire altrove in un’altra materializzazione permessa da mani d’uomo, lasciando sul suo passaggio tracce di morte.

Il male non ha un’esistenza propria, dice san Basilio il Grande nell’omelia intitolata “Dio non è l’autore del male”. Il male non è qualcosa di vivo; è anousios, senza essere, senza essenza, senza natura, scrive san Giovanni Damasceno. Il male è assenza di bene, dice san Gregorio di Nissa, è vuoto di “essere”, una sorta di malattia dell’essere che trasforma mostruosamente l’essere in caos.

Il mondo non è il campo di battaglia tra due forze avverse, il bene e il male, come pretendevano i manichei. Il Dio dei cristiani è Bene assoluto, senza ombre. Dio non ha creato il male – un nulla senza volto –, non ha creato la morte, scrive Olivier Clément in Notes sur le mal; ha creato però degli altri esseri personali, cioè liberi: liberi perché Egli li ama e attende da essi una risposta d’amore, una risposta cioè necessariamente libera. La creazione comporta paradossalmente una limitazione dell’onnipotenza di Dio. Creare, per Dio, è un rischio: il rischio di un’altra libertà. La creazione è, per Dio, la sua prima kenosi amorosa, un’umiliazione volontaria della sua onnipotenza davanti alla libertà della creatura. Che è l’uomo; ma anche il cosmo.

La tragedia della caduta di Adamo ha precipitato l’uomo nel caos doloroso della vita; ma ha precipitato anche il Paradiso terrestre nella tragedia del cosmo. Francesco Messina, GiobbeL’uomo ha ereditato una stato di natura asservito al dolore e alla morte, dicono i Padri greci; ma anche la terra è maledetta a causa dell’uomo. L’uomo vive in precario equilibrio fra la chiamata di Dio e le suggestioni del Maligno; la terra vive in precario equilibrio fra la bellezza e la catastrofe. Come l’uomo, tutta la creazione di Dio è autonoma nel suo essere, nella sua giustificazione e nelle sue responsabilità.

L’unica risposta che il cristianesimo dà al problema del male – del peccato come della catastrofe – è che se il mondo è trasformato nell’anticamera dell’inferno, Dio è già sceso in questo inferno, e lì ci attende per salvarci. L’unica risposta è Cristo. Dio-uomo prende volontariamente il posto di Giobbe e la sua croce s’identifica con quella dei milioni di Giobbe innocenti travolti dal male, perché abbiano parte – loro certamente sì – alla sua Resurrezione.

Flaminia Morandi
NP febbraio 2005

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