Miriam madre di Gesù

Pubblicato il 09-08-2012

di gianni

mariadi Gianni Giletti - Sulla figura di Miriam spesso si sono intrecciati devozioni, deviazioni, spiritualità vere e false, ideologie addirittura, segni di speranza e tenerezza, di fanatismo e disperazione.
Insomma tutto e il contrario di tutto. Di lei, a me ha sempre colpito lo sguardo, che quasi “vedi” nel vangelo di Luca. Lì, tra quelle poche parole ricoperte dalla polvere dei secoli, eppure sempre fresche, ti rendi conto di quanto debba essere stata ordinaria e straordinaria ad un tempo la vita di questa ragazzina, divenuta donna in un’avventura unica nella storia dell’uomo.

Tutto comincia
Perché Miriam, al tempo dell’Annunciazione, è una ragazzina, sulle cui spalle Dio mette le sorti dell’Eternità e le dice: “Io aspetto te”. Una ragazzina che non capisce – chi potrebbe? – ma che, da subito, si fida. Si butta in una storia che sa di lapidazione, che rischia di finir male ad ogni passo, già dal primo.
Eppure va.
Primo ostacolo: Giuseppe.

Giuseppe
C’è davvero un modo per spiegare al tuo fidanzato che il figlio non suo che stai aspettando non è frutto di un tradimento? Quali parole esistono per dire una cosa del genere?
Molti hanno scritto su questo momento cruciale per la vita di Miriam: mi piace pensare che sia stato uno sguardo a convincere Giuseppe, non una parola, non l’angelo che gli compare in sogno, che semmai gli conferma ciò che aveva già capito e cioè che Miriam non l’ha tradito.
Forte di questa convinzione, Giuseppe, senza una parola (il Vangelo di Luca non riporta una sola parola di quest’uomo), si mette a fianco di quel mistero che ha il nome della sua sposa, contempla da una posizione privilegiata, ma suppongo anche sofferta, il Mistero dell’Incarnazione.

Nascita, Egitto e ritorno
E così comincia l’avventura.
Giuseppe si mette a fianco di Maria per dare una famiglia a quel bambino, che non è frutto di una scappatella o di un amore urgente, come sussurra le gente di Nazaret, ma è il Dio-con-noi, l’Atteso da sempre.
Lui è l’Atteso, il “Dio salva”, ma deve scappare subito perchè il potere di turno, per tentare di eliminarlo, compie un eccidio terrificante, che deve aver trapassato come una spada il cuore di Maria, come il vecchio Simeone le aveva predetto.
Scappare in Egitto non solo per salvarsi la pelle, ma anche per non dover guardare in viso le mamme che hanno visto morire il proprio figlio.
Come ha fatto una ragazzina, sia pure con l’aiuto di Giuseppe, a sopportare un peso del genere? Quali sono state le preghiere e le grida che deve aver alzato verso quel Dio che le ha chiesto il suo sì per poi scaraventarla in una storia così terribile? L’Egitto deve essere stato un esilio amaro, con una sofferenza tangibile, impotente… Però poi si torna, non si può stare lì. La prudenza li convince che è meglio non tornare a Betlemme, ma a Nazaret, dove si può cominciare una vita.
Dopodichè, a parte l’episodio del Tempio, dove Gesù "scappa", scende su di loro un sipario di silenzio.

Silenzio e normalità
Trent’anni di convivenza insieme all’Autore della vita, a Colui che ha creato te e tutto quello che vedi e che adesso ha la forma di un bambino, tuo figlio. Un figlio da educare, correggere, amare, come tutti, ma… è davvero tuo figlio?
Quante volte Miriam se lo deve essere chiesto? Sì, tu l’hai partorito, lo stai crescendo, in tutto e per tutto è tuo figlio, d’accordo, ma…quante volte ti sei ripetuta le parole dell’angelo… diventerà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo…
Cosa significa convivere con Dio? Averlo lì, in casa tua, che ti sorride e ti fa arrabbiare, che ti stringe e ti strugge, un Dio su cui sogni, come ogni mamma fa per il suo bambino? Cosa senti nel tuo cuore, Miriam, mentre passano gli anni, tuo figlio cresce e la voce dell’angelo ti sembra sempre più flebile, i Magi, la stella, i pastori, il vecchio Simeone… sembrano sogni stinti, un passato bislacco, distante, sempre più lontano.
E’ questo il momento della vita di Miriam (di Giuseppe?) e di Gesù che più mi affascina, questi trent’anni di assoluta normalità, di cose di tutti i giorni, di gesti ripetuti, anche banali, un silenzio assordante. Quando Gesù riemerge, ha trent’anni. Non c’è più Giuseppe, c’è ancora Miriam.

Convertitevi e credete al Vangelo
Quando Gesù scende a Cafarnao, a Miriam, ormai donna matura, devono essere tornate in mente in un lampo le vicende di trent’anni prima.
Chissà se anche lei, come tutte le mamme del mondo, abbia discusso con suo figlio sul suo futuro, magari disapprovandolo in alcune idee che lui aveva? Chissà se gli ha rivelato quello che è successo prima, durante e dopo la sua nascita, o se non è stato necessario ?
Il Vangelo dice che lei insieme ai suoi parenti, tentano di riportare a casa un figlio che sembra un po’ scapestrato e proprio lei, Miriam, riceve una parola apparentemente dura da parte di Gesù: “Chi è mia madre?” Si dice che a un certo punto, siano i figli ad educare i genitori. Qui Gesù le chiede di fare un passo, a lei, a sua madre, probabilmente la persona che più amava. Le dà la chiave per farlo: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.

Alla sequela di Gesù
Miriam capisce.
Capisce che deve fidarsi di suo figlio, che deve fidarsi di quello che le ha detto l’angelo in un luminosa mattina di tanti anni prima. A Cana, qualche tempo prima, è stato lui a fare quel che gli chiedeva. Si può immaginare quello che Gesù ha pensato, però le ha ubbidito.
Da questa volta invece, è lei che cede e ubbidisce a suo figlio. E allora, come trent’anni prima, va. Certo, sempre in maniera discreta, come deve essere la sua natura, non brilla sicuramente di luce propria sul palcoscenico del mondo, ma appare e scompare, in silenzio. Però c’è, se ne intuisce la presenza quando il Vangelo la nomina, guarda caso nei momenti chiave.

Croce e resurrezione
Sotto la croce ad esempio.
Lì dove sembra tutto finito, dove tu, Miriam, sei svuotata, assalita da un dolore indicibile. Eppure sei lì a guardare, a vegliare, a piangere. Come una frustata, ti brucia il ricordo delle parole del vecchio Simeone – una spada ti trafiggerà l’anima – il ricordo della mirra, unguento per la sepoltura, portata dai Magi. E poi alla sera, con Giovanni, il tuo nuovo figlio, che Gesù ti ha affidato, a ricordare le Sue parole, quella Parola su cui miliardi di persone da quel giorno in poi giocheranno la loro vita.
“Dopo tre giorni risusciterò”.
Si può immaginare lo strazio di quella sera, i silenzi, gli sguardi, ma anche la speranza che Miriam certamente aveva nel cuore. E difatti la troviamo poi nel cenacolo, insieme ai discepoli. Un icona silenziosa, ma importante, un silenzio che parla. Da lì in avanti difatti i cristiani (e non solo) di ogni tempo cominceranno a amare e a sentire vicina quella ragazzina che, secoli dopo, un importante Concilio dichiarerà Madre di Dio.
Ma di questo ormai, se ne erano già accorti tutti.

Conclusione
E qui finisce questa storia, una divagazione su un mistero tanto grande quanto commovente.
Se c’è una cosa che Miriam ci insegna, è la sua normalità, il suo amore quieto, ma tenace, costante, il suo sguardo piano ma intenso, il suo coraggio quotidiano e apparentemente normale. La sua presenza accanto a Colui che salva il mondo dona una dolcezza infinita allo sguardo di Dio sull’umanità. Un Dio talmente innamorato dell’uomo che ha voluto per Sé una madre, Miriam di Nazaret.

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