MOMBASA: attentato terroristico e “danni collaterali”

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Subito dopo l’attacco terroristico al Paradise Hotel di Mombasa lo scorso 30 novembre, l’Associated Press ha distribuito in tutto il mondo le foto dei corpi martoriati dei danzatori africani uccisi dalla bomba. Foto atroci, di corpi bruciati e seminudi, a pezzi, mescolati alle macerie.


Era difficile immaginare che pochi minuti prima quelle erano persone che stavano cantando e danzando per dare il benvenuto a un gruppo di turisti israeliani.
I keniani sono rimasti turbati da quelle immagini, non solo per l'orrore del fatto in se, ma anche per altre due ragioni.
La prima, e più importante, che per la seconda volta dei keniani rimanevano accidentalmente uccisi - i militari direbbero come "danno collaterale" - in un attentato terroristico non diretto contro di loro. Era già successo nel 1998, quando la bomba fatta esplodere dai terroristi all'ambasciata americana di Nairobi aveva ucciso una decina di americani e oltre duecentoquaranta keniani.

La seconda ragione del turbamento era il fatto che l'agenzia di stampa avesse deciso di far circolare quelle immagini di poveri corpi straziati. Foto che li privavano di quel minimo di rispetto e di quella dignità a cui tutti hanno diritto, sopratutto i poveri e gli innocenti.
Si sono levate voci che hanno fatto notare che fra le vittime c'erano anche tre israeliani, ma che le agenzie si sono ben guardate dal far circolare le loro foto. Inevitabile poi il paragone con l'attentato dell'11 settembre a New York, quando tutti i mass-media, unanimemente, si accordarono di non mostrare immagini delle vittime.
Perché, se le foto di newyorkesi morti, mutilati, nudi non sono pubblicabili, lo sono quelle di keniani ugualmente sfigurati? Evidentemente, hanno commentato molti keniani, cadaveri bianchi e cadaveri neri hanno una dignità diversa.
Il fatto è che dalla Sierra Leone, alla Liberia, al Congo, al Sudan e alla Somalia la pubblicazione di corpi africani mutilati, morenti, o addirittura già in putrefazione serve a rinforzare lo stereotipo dell'Africa come di un continente che rigurgita violenza e morte.
In un mondo in cui le forme più antiche di sfruttamento e discriminazione stanno diventando politicamente inaccettabili, ce ne sono di nuove che stanno lentamente diventando istituzionalizzate. Nessuno, o quasi, ha più il coraggio di parlare di colonialismo, ma le compagnie petrolifere e minerarie in Africa hanno carta bianca purché generino profitti per la casa madre. Nessuno più parla di inferiorità delle razze, ma le immagini dei corpi delle persone africane affogate al largo delle coste italiane sembra ormai provochino solo un'alzata di spalle.
E le "grandi democrazie" continuano a considerare normale che in Africa si muoia di fame, senza rimettere in questione un sistema che sussidia pesantemente gli agricoltori dei paesi ricchi e penalizza tutti i prodotti agricoli dei paesi poveri.
Non é esagerato affermare che queste ingiustizie hanno la stessa matrice della discriminazione che ha fatto pubblicare all'Associated Press solo le foto dei corpi dei danzatori africani. E' lo stesso primordiale, istintivo, brutale razzismo di sempre.
Se c'è una lezione che possiamo imparare guardando quelle immagini è che ciò che si chiama abitualmente "la comunità internazionale" - cioè in sostanza il mondo occidentale con i suoi governi, mass-media, istituzioni, potenza economica e militare - ha ancora una lunga strada da percorrere prima di aspirare alla leadership morale del mondo.
Osama bin Laden non potrà prevalere. Ma il riscatto non verrà certamente da questo tipo di "comunità internazionale".

In una società dove tutto é mercificato, quelle immagini di danzatori che da vivi erano pagati 50 euro al mese hanno reso molti più soldi all'agenzia di stampa in un giorno solo. Ma quei corpi straziati avevano invece bisogno di pietà.

Kizito Sesana





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