Monastero metropolitano

Pubblicato il 26-09-2018

di Simone Bernardi

di Simone Bernardi - Hei tu, dell’Arsenale... Mi sento toccare sulla spalla, mi volto ed è Sisnandes, uno degli uomini che sono stati accolti all’Arsenale della Speranza nell’arco di questi 21 anni. 54.000 persone. Non è poi così raro essere riconosciuti e fermati per strada, come se San Paolo fosse un piccolo paese.

Scambiamo qualche battuta scherzosa sull’ultima partita del Palmeiras. La scelta del tema non è difficile, prendo spunto dalla sua maglietta tricolore, un po’ bucata e sgualcita. Allora gli chiedo se si è sistemato o se ha trovato una struttura di accoglienza per dormire... Mi dice di sì. È un buon posto? E lui, diretto e veloce: Si, ma non è una casa spirituale come l’Arsenale.

Ascoltare questa risposta da un uomo che da anni vive per le strade di una metropoli in cui più di ogni altra cosa proliferano movimenti neopentecostali che investono tutte le loro energie economiche, mediatiche ed organizzative in una propaganda spirituale invadente, soprattutto verso le classi più povere... mi ha stupito parecchio.

Come mai questo rifugiato urbano, abituato ad inserirsi in ogni fila di distribuzione di qualcosa di commestibile, ad assecondare la preghiera del predicatore di turno prima di ricevere un po’ di cibo, ha nostalgia della spiritualità dell’Arsenale?

Non pensate ad un monaco, ad una persona religiosa o alla ricerca di una vita contemplativa... Sisnandes – e sarebbe lui il primo a confermarvelo – non è nulla di tutto questo.

Forse, paradossalmente, Sisnandes considera ancora l’Arsenale come un oasi spirituale nel cuore della metropoli proprio perchè lì non era obbligato ad ascoltare nessuna predicazione per ricevere il cibo e tutto quello di cui aveva bisogno. In fondo, la cosa più bella che Dio ci offre e ci insegna è la sua assoluta gratuità.

Simone Bernardi
OBRIGADO
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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