MOZAMBICO: la donna Makua

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


Una missionaria che ha vissuto gran parte della sua vita in Mozambico ci conduce “in punta di piedi” ad incontrarne le donne.

di Dalmazia Colombo

 Non credo di aver passato un giorno in missione nel Nord del Mozambico senza dialogare con le donne. Nel servizio sanitario, perché è sempre la donna che accompagna il bambino malato, il padre, il marito, il fratello.Nelle scuole di Promozione della Donna alle quali mi sono sempre dedicata (tanto che dalle lezioni è nato un manuale: "Economia Domestica: la donna nella sua casa", diventato quasi un best seller diffuso in più lingue, 130.000 copie in 35 anni).
Ma la donna la incontravo anche al mercato, nei campi, nelle scuole...
E della donna Makua voglio parlarvi. Ricordo che osservandola, al mio arrivo in missione, mi domandavo: "Ma questa donna è Serva o Signora nella sua casa e nella sua società?". Infatti la sua posizione nella società tribale presentava aspetti vari e contrastanti.
La donna Makua è la capostipite del clan e il suo cognome passa di generazione in generazione. Attorno alla casa materna le figlie - quando si sposano - costruiscono la loro capanna dando alla "Grande Mamma" la gioia di finire i suoi giorni circondata da nipoti e pronipoti, figli delle sue figlie.
Però nell'intimità della casa, vedendola parlare e porgere il saluto all’uomo in ginocchio, viene da pensare che è serva e non padrona. A lei tocca portare in testa i pesi più gravi, macinare il granoturco a forza di muscoli. A tavola non può servirsi prima che ogni uomo abbia avuto la sua parte.
Tuttavia non la si può chiamare schiava: nei campi le spetta il lavoro meno pesante, nella costruzione della casa deve solo collaborare per l'intonaco, nella divisione del raccolto ha diritto ad una parte di suo uso esclusivo e non si vedrà mai una donna Makua che non abbia il suo gruzzolo o un cesto di miglio da vendere o da offrire.

Parlando di sé, si chiama "Mwenaka", che vuol dire "Signora di me stessa".
Ma se è padrona, perché ha dovuto sottostare fin dalla nascita alla volontà di un uomo (dello zio materno, che ha la patria potestà fra i Makua, tribù matrilineare)? Eppure le studentesse dell'università di origine Makua sono arrivate a quel traguardo proprio grazie allo zio materno, l' "Athata", che le ha favorite passo passo autorizzandole a percorrere i nuovi cammini offerti anche alla donna dalla società moderna. Se si fosse opposto sarebbero rimaste semianalfabete.
Altre tradizioni possono destare sospetti sulla sua signoria, ma non pongono ombra sul suo titolo di Madre. Con il nome di “mamma” la gente chiama ogni donna che vuole onorare. Il padre chiama mamma la propria figlia e lo sconosciuto si rivolge con l'appellativo di mamma alla donna che incontra sul sentiero.

La tradizione prepara la bimba insegnandole gradualmente tante cose. La maternità è l'aspirazione più alta. E il magico potere di dare la vita le dà prestigio nella tribù, assicurandole il rispetto da tutti anche nella vecchiaia. Per questo quando viene alla luce una femminuccia le donne del vicinato prorompono nei caratteristici trilli di gioia. Se invece nasce un maschietto, tutte fanno una smorfia e la mamma quasi involontariamente mormora: "Valeva la pena soffrire tanto?".

La donna Makua poi ha sempre avuto un privilegio: quello di poter parlare nell'assemblea degli anziani. Inoltre in ogni villaggio c'è una "regina" (la Apwia Mwene) che accanto al capo - senza essere del suo casato, e scelta dalle donne - governa il popolo, aiuta e consiglia le donne, le difende in tribunale dove l'Apwia Mwene" qualsiasi sia la questione, ha diritto all'ultima parola e al verdetto finale.
Questa è la donna che le missionarie del Nord del Mozambico da tanti anni educano, incoraggiano, sostengono, con la quale dialogano... E i frutti non mancano: molte di queste donne sono mamme felici, altre suore felici, altre ancora impegnate nel sociale come insegnanti, infermiere, medici, avvocati. Molte sono entrate in politica e moltissime sono animatrici delle comunità cristiane, catechiste, ministre straordinarie dell'Eucarestia, operatrici di promozione umana e sviluppo, vivendo creativamente la tradizione.

di Dalmazia Colombo





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