NESTI: Non solo calcio

Pubblicato il 31-08-2009

di Carlo Nesti

 

In una ipotetica auto-intervista, il noto giornalista sportivo condensa l’essenza del suo ultimo libro "Il mio psicologo si chiama Gesù". 5 edizioni in 6 mesi, 10 mila copie vendute.

di Carlo Nesti

 

 

Il mio psicologo si chiama Gesù
Carlo Nesti
San Paolo 2008

 

In cosa consiste il tuo libro?
Si tratta dell'analisi di 22 frasi pronunciate da Gesù, e riportate nel Vangelo. Se analizzate in chiave psicologica, esse ci danno precise indicazioni per vivere più serenamente.

L'hai scritto con l'atteggiamento di chi insegna o di chi impara?
Assolutamente con l’atteggiamento di chi impara, come ho precisato nelle prime righe. E’ un libro nel quale si parla di psicologia e Fede, ma io non sono né uno psicologo, né un teologo. Dovete immaginarmi come uno studente, che crede di avere capito la “teoria” della vita, e, in un momento in cui il “professore” non vede, cerca di passare il “compito in classe” al compagno di banco. Non c’è nessun pulpito dal quale predicare, ma solo la consapevolezza di avere compreso questa “teoria”.  

 
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Perché lo hai scritto?
E' inevitabile interrogarsi sul senso della nostra vita. Quasi tutti, se ci limitiamo a guardare intorno, in senso orizzontale, dobbiamo prendere atto che amore, lavoro e divertimento non appagano totalmente. Allora diventa necessario entrare in una dimensione verticale: giù, dentro noi stessi, nell'anima, nello spirito, e su, verso il cielo. Soltanto così otteniamo le risposte che vogliamo. La vera trasformazione è mettere Dio, e non noi stessi, al centro della vita.

Esiste un nesso fra sport e Fede?
Per me, il calcio, in particolare, è stato prima, da bambino, un "gioco", poi, da "adolescente", uno sport, e infine, da "adulto", una grande metafora della vita. Ogni problema, che dobbiamo affrontare, equivale a una partita, con i suoi momenti-chiave. Il gol segnato è il problema risolto. Il gol subìto è il problema irrisolto. Il palo è l'occasione inseguita, e mancata di un soffio. Ma se, per l'atleta, l'obbiettivo massimo dell'insieme delle partite, lo scudetto, è raggiungibile in questa vita terrena, il cristiano sa che lo potrà ottenere solo nell'Aldilà.

Che valore ha la preghiera?
Il mondo, che ci circonda, è come uno stadio affollato. Noi siamo “giocatori” di una partita, in mezzo al campo, e dobbiamo tentare, nel fracasso dello stadio, di ascoltare la voce del nostro allenatore. E il
nostro “mister” è chi, meglio di chiunque altro, è in grado di capirci, e di guidarci, perché è Colui che ci ha creati: Dio. L’unico modo per acquistare questa sensibilità, nell’”udito”, è la preghiera. E’ facile parlare con Dio, ma non è facile ascoltarlo.

Esiste la teoria del distacco?
C’è in Mosè, Budda, Gesù, Maometto e San Francesco, e quindi in tutte le religioni principali, abramitiche o darmiche. E’ la ricerca del deserto e del silenzio, e cioè saper prendere le distanze dalla mondanità, per
comunicare con Dio e con lo spirito. Non è menefreghismo, ma sapere isolarci, ogni tanto, per scendere in profondità, o per salire in cielo. E’ Gesù stesso a insegnarci, senza nessuna ombra di egoismo, a “chiudere la porta di casa”, al momento di raccoglierci e pregare.
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E' più importante diventare "qualcuno" o diventare "noi stessi"?
E' naturale che ciascuno di noi voglia affermarsi nel proprio campo, ma bisogna saper guardare lontano. Diventare "qualcuno" ha a che fare con l'"avere", con il "possedere". Ma tutto quanto abbiamo, quaggiù, è solo in affitto, nel senso che siamo destinati, morendo, a perderlo. A Dio non interessa il nostro "avere". Diventare noi stessi, al contrario, significa realizzarci nell'"essere", nello spirito, nell'anima, che non perisce, ma vive in eterno: è la parte divina di noi stessi.

Che importanza dai a quello che pensiamo?
Noi siamo quello che pensiamo. I nostri pensieri sono determinanti per la qualità della vita, e dobbiamo partire da un presupposto, noto alla psicologia. La nostra mente, di solito, è anarchica e insoddisfatta: i
pensieri cercano sempre quello che non abbiamo, invece che quello che abbiamo, colpiti dal virus dell’incontentabilità. Dobbiamo acquisire una sorta di ginnastica mentale, immaginare di uscire da noi stessi, afferrare i pensieri negativi, e sostituirli con i pensieri positivi.

Quanto conta, per Gesù, la nostra autostima?
C’è una frase con la quale Gesù ha rinnovato le Scritture, e ha sancito il passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento. Con Gesù non si parla più di “legge del taglione”, e cioè “occhio per occhio” e “dente per dente”. Lui dice “ama il prossimo tuo - come te stesso”. E’ stata valorizzata, giustamente, sempre la prima parte della nuova legge, del tutto rivoluzionaria, ma anche la seconda ci offre una indicazione importante. Noi dobbiamo amare noi stessi, dobbiamo volerci bene, e vivere bene con noi stessi. In caso contrario, non potremo essere utili agli altri.
   
Cosa insegneresti, fin da piccoli, ai bambini?
Ogni bambino ha diritto di vivere da bambino, in qualsiasi parte del mondo. Invece, purtroppo, a certe latitudini, troviamo i bambini lavoratori, che cuciono palloni, o i bambini soldati, che imbracciano fucili. I genitori, gradualmente, dovrebbero insegnare ai figli che, ogni giorno, 25 mila altri bambini, come loro, muoiono di fame. E’ necessario che siano, fin da subito, grati al Signore di non far parte di quel gruppo, sicuramente molto meno fortunato, apprezzando, fin dal principio, tutti i doni della vita.

Cosa pensi dell'informazione televisiva di oggi?
A volte mi delude, perché risponde più alla morbosità dell’audience, e agli interessi della diplomazia, che all’esigenza di essere specchio dell’umanità. Venti minuti su 30, nei vari TG, documentano politica, cronaca
nera e gossip. Possibile che la vita, che ci circonda, sia solo questo? Il male esiste, eccome, ma esiste anche il bene: le vite salvate dai volontari e dai missionari. Purtroppo, fa più rumore un albero che cade, che non una
foresta che cresce, e si ritiene che solo ciò che fa rumore determini la “notizia”.

Come ti trovi, da giornalista, al momento di giudicare?
E’ l’epoca del “gossip”, con il quale giudichiamo il provato degli altri, o dell’”outing”, con il quale rendiamo pubblico il modo nel quale siamo. La verità è che oscilliamo sempre fra 2 estremi: la critica e l’invidia. La
critica verso chi non ci piace (la “pagliuzza” nell’occhio altrui), e l’invidia verso chi vorremmo essere (“l’erba del vicino sempre più verde”). Occorre o abbandonare questi atteggiamenti, o, per lo meno, trovare una via di mezzo fra le 2 posizioni.
 
Cosa significa oggi "povertà"?
Ai tempi di Gesù era una povertà “materiale”: anche oggi 4 miliardi di persone su 6 del pianeta sono povere. Ma si è diffuso un altro tipo di povertà. E’ la povertà “immateriale”. Penso ai problemi di mancanza di
fiducia dei giovani, che cercano di star bene seguendo la strada chimica, alcool o droga. Si suicida, sulla terra, una persona ogni 30 secondi. Penso alla mancanza di speranza degli anziani, considerati inutili, mentre un tempo avevano potere “patriarcale”. Penso anche alla mancanza di affetto, e alla mancanza di salute di tanta gente.

Cos’è la povertà di spirito?
E’ uno spogliarsi da tutto ciò che ci impedisce l’amore assoluto per Dio e per la Creazione. Gesù, non a caso, prediligeva poveri e bambini: la purezza e la semplicità. Benessere materiale e capacità intellettuale, spesso,
diventano filtri, che oscurano l’anima, e ci fanno pensare di essere autosufficienti, rispetto a chi ci ha creati. Basta vedere chi ha scelto la Madonna, in tutte le circostanze storiche che conosciamo, per apparire:
contadine e pastorelli, e non certo persone benestanti o istruite.

In che misura dobbiamo essere "altruisti"?
Per tanta gente, donare un Euro può essere molto. Per altri, neanche donare 100 Euro può rappresentare un sacrificio. Per questo credo sia inutile cercare di indicare, in senso materiale, quanto dobbiamo dare agli altri,
perché le situazioni soggettive sono troppo diverse, una dall’altra. E’ più giusto trovare una “misura” nel tempo che dedichiamo agli altri, ciascuno secondo le proprie attitudini, indipendentemente dalle nostre possibilità economiche.


di Carlo Nesti

 

 

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