OLIMPIADI: gli sport “minori”

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni


Non di solo calcio vive l’uomo. Per capirlo, basta passare in rassegna i titoli olimpici vinti dall’Italia nelle passate edizioni di quella che resta la più prestigiosa kermesse sportiva mondiale.

di Alessandro Moroni


La partecipazione italiana alle Olimpiadi estive può ritenersi a buon diritto una “success story”, fatta eccezione per il periodo di 15 anni che ha fatto seguito all'edizione di Tokyo del 1964: in quel momento di buio assoluto, la totale assenza di strategia orientata alla crescita dei settori giovanili, unita ad una cronica carenza di risorse, determinò l'arroccamento intorno a pochi atleti di gran nome ma con il vuoto alle spalle.

Come conseguenza, si ebbero bottini di medaglie sconsolatamente esigui tanto a Città del Messico nel 1968 quanto a Monaco di Baviera nel 1972, e si toccò il fondo nella sciagurata spedizione di Montreal nel 1976, segnata dalla conquista di due soli titoli olimpici e 13 misere medaglie in totale.
Poi la tendenza un po' alla volta è mutata: a partire dagli anni '90 si è verificato un potenziamento del movimento sportivo di base; e, complice la caduta del Muro di Berlino che ha determinato un drastico ridimensionamento dei risultati dei Paesi dell'Est, l'Italia ha considerevolmente cambiato marcia. Ormai siamo posizionati stabilmente nella "parte nobile" del Medagliere e portiamo a casa titoli olimpici in doppia cifra, fin dall'edizione di Atlanta 1996.

Molte soddisfazioni ci sono arrivate dai cosiddetti "sport minori", che peraltro sfuggono ad una definizione logica: come è noto, per lo sportivo italiano medio tutto quanto esuli dal calcio, si tratti anche di "regine olimpiche" quali nuoto e ginnastica, tende a far parte della categoria! D'altra parte è accertata l'esistenza di una nicchia di sportivi che nell'arco di tutta una vita segue le Olimpiadi con passione certosina, ed ecco allora che ogni quattro anni salgono prepotentemente alla ribalta sport abitualmente relegati nel dimenticatoio.

Sfogliando almanacchi impolverati o scartabellando siti specialistici in rete ecco riemergere nomi di fuoriclasse assoluti, che hanno avuto il merito di attraversare il deserto di movimenti di base totalmente inesistenti.

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Qualcuno, non più giovane, si ricorderà del fenomeno Klaus Dibiasi (foto sopra), uno dei più grandi tuffatori di ogni epoca, trionfatore dalla piattaforma di 10 metri in ben 3 Olimpiadi consecutive: per la maggioranza di noi i tuffi erano costituiti solo dalle "panciate in acqua" dagli scogli o dal bordo piscina, ed ecco saltare fuori dal nulla questo acrobata sudtirolese che tra il 1968 e il 1976 ci ha fatti appassionare al doppio salto mortale carpiato con avvitamento. Ritiratosi Dibiasi, la disciplina ritornò nell'oblio: oggi, almeno in ambito maschile, è appannaggio cinese quasi assoluto, tanto per cambiare...

Qualcun altro si ricorderà del mitico Enzo Maenza di Faenza (facile da ricordare per i molti giochi di parole al quale il suo nome e la sua provenienza si prestavano), soprannominato "Pollicino", un fascio di muscoli e nervi esplosivo, che per tre edizioni olimpiche consecutive ci fece innamorare della lotta greco-romana, del tutto obliata fin lì e mai più considerata dopo.

Ma se dovessimo rifarci ad una tradizione che è sempre stata in grado di rinnovarsi dovremmo rivolgerci altrove: a parte le nostre classiche "miniere" quali la scherma, regina assoluta del medagliere azzurro con 43 titoli olimpici conquistati e oltre 100 medaglie in totale, e il ciclismo (33 titoli olimpici e 56 medaglie totali), troveremmo continuità di rendimento nel pugilato e nelle discipline di tiro.

Il primo tra questi due sport, da sempre associato al professionismo come sbocco naturale di disagio sociale (non si contano i campioni che si sono messi in luce partendo dalle risse di strada nei bassifondi delle città americane), in realtà poggia su tradizioni antichissime, risalenti ai Giochi Olimpici della classicità greca e romana.

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Nino Benvenuti e Patrizio Oliva sono i nomi più noti tra i 14 campioni olimpici italiani: dopo la conquista della medaglia d'oro, rispettivamente a Roma nel 1960 e a Los Angeles nel 1984, per entrambi si sarebbe aperta una luminosa carriera professionistica, coronata dalla conquista del titolo mondiale.

Ultimamente i risultati olimpici italiani in questo sport sono rientrati in un alveo di tranquilla mediocrità, cosa che invece non si può dire del tiro: l'esercizio di precisione con armi da fuoco o da lancio (tiro a segno e tiro con l'arco, che prevedono un bersaglio fisso, e tiro a volo che prevede un bersaglio mobile) è anch'esso profondamente intessuto con la storia dell'uomo, e ha logicamente trovato spazio alle Olimpiadi fin dalla prima edizione di Atene, nel 1896.

Conquista spesso la simpatia dell'uomo comune proprio perché è uno di quei rari sport che non vedono ai loro vertici superatleti venticinquenni votati ad esercizi fisici sovrumani e a diete ascetiche: le confortanti "pancette" delle due medaglie d'oro ad Atene 2004, Marco Galiazzo (foto sopra) e Andrea Benelli, rispettivamente nel tiro con l'arco e nel tiro a volo skeet, sono lì a dimostrarlo. Come lo è il fatto che Benelli sia arrivato al titolo olimpico alla sua quinta partecipazione, a 44 anni suonati; e che tra un mese, a Pechino, pare che abbia tutte le intenzioni di riprovarci!
di Alessandro Moroni
da Nuovo Progetto giugno-luglio 2008


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