Padre nostro

Matteo aggiunge nel suo vange­lo, alla parola Padre, un aggettivo pos­sessivo: nostro. Padre nostro, non solo Padre mio. Io debbo ritirarmi a pregare nel segreto del mio cuore, vivere in un rapporto personale, unico e irripetibile col Padre, debbo essere nel segreto con lui, ed ecco che, paradossalmente, scopro di non essere solo. C’è questa parola, nostro, che mi rimanda a tutti gli altri fratelli, mi rimanda agli altri.

Questa preghiera che mi pone di fronte alla paternità di Dio, è anche un richiamo immediato alla fraternità. Non posso essere figlio se non sono anche fratello, perché egli è il Padre mio e il Padre degli altri, e fa di noi un mondo di fratelli di fronte a lui, che è il Padre. Un mondo di fratelli, ognuno dei quali è figlio per l’unione con il Figlio, l’Unigenito.
D’altra parte ogni incontro con Dio nella Bibbia è stato soltanto un incontro personale? Dio si fa incontro a Abramo, lo chiama e lo man­da in una terra sconosciuta, ma perché? In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra (Gen 12,3). Incontri Dio personalmente e ti ritrovi responsabile degli altri, Dio pone gli altri sulle tue spalle. Mosè incontra Dio di fronte al roveto ardente, incontra un Dio che conosce le sofferenze del suo popolo e ne ha pietà. Dio vuole che l’incontro con Mosè sia del tutto personale, ma in questo incontro lo fa responsabile dei suoi fratelli: va! fa uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti (Es 3,10).

Così è dei profeti: Dio si fa incontro al profeta, lo chiama, gli parla e lo manda ai suoi fratelli. Quanto più grande, più intenso è il nostro rapporto perso­nale con Dio, tanto più veniamo proiettati verso gli altri, come è successo a Gesù. Se, consci della nostra unione sacramen­tale con Gesù, ci sforzia­mo di vivere restando uniti a lui (Gv 15,4) ci troviamo portati da Gesù contemporaneamente nel seno del Padre e nel cuore dei fratelli.


p. Mario Nascimbeni
da Progetto (ora NP) ottobre 1992
NP aprile 2024