Peshawar - Torino

Pubblicato il 22-07-2016

di Alessandro Rossi

di Alessandro Rossi - È possibile costruire ponti e non muri? In guerra tra i primi obiettivi da buttar giù ci sono i ponti: il ponte crolla e si interrompono le comunicazioni. La pace invece costruisce i ponti, perché uniscono, comunicano, mettono in movimento, permettono l’incontro... Si, è possibile costruire ponti e non muri, a meno che i muri non siano quelli di una casa, una scuola o un ospedale. Il muro de La Bontà è disarmante in fondo dice questo: ogni mattone porta il nome di un Paese del mondo in cui dal Sermig è stato fatto un progetto o portato un aiuto di qualsiasi natura; oltre ad evidenziare l’intreccio tra la bontà – che nasce dall'intelligenza – e l’edificazione, attraverso di questa, di un mondo più umano e più giusto, di una città nuova, edificio ben solido.

La guerra è utopia, non la pace! La pace è possibile, crea condizioni di possibilità per una vita buona, bella: costruisce ponti e non demolisce scuole, case, ospedali, luoghi di culto, vite strappate. La pace semina nel silenzio percorsi di umanità possibile, nell’apparente impossibile. La pace è accogliente, ha solide mura ma è fragilissima, perché dipende da me e da te.
Quando accogliamo un ragazzo pakistano, afgano, iracheno... (pensando all’Asia, ma potrebbe anche essere l’Africa), guardando il suo volto, penso a quanta polvere hanno calpestato quei piedi per arrivare fino a qui. “Tanto piede” diceva giorni fa uno di loro, intervistato alla tv. Per curiosità, entrate su Google Maps e digitate l’itinerario a piedi Peshawar-Torino, per vedere quanto tempo ci vuole. “E per loro neanche una medaglietta di latta”, recita un pensiero di Ernesto Olivero. Voglio dire: se dipendesse da anche solo uno di quegli uomini, donna, bambino che vedete ogni giorno scappare dal proprio Paese, probabilmente se ne sarebbe rimasto a casa sua. Non è un caso che proprio in questi ultimi mesi si vorrebbero costruire muri sui confini.

Ma non tutti la pensiamo alla stessa maniera. Di fronte ai tanti campi profughi e corridoi umanitari che si stanno formando ai confini con l’Europa nella disperazione (senza dimenticare quelli degli altri continenti), l’opinione pubblica ha sfumature decisamente diverse, da Paese a Paese. Certamente con Giambattista Vico sappiamo che la storia è fatta di continui corsi e ricorsi storici; ma questi flussi migratori ci raccontano di altre situazioni, che dipendono da noi. Quante guerre e quante mani insanguinate in questi anni; e che affare sporco sono le armi! Ciò non bastasse, come un boomerang la guerra che abbiamo portato lontano, oggi ce l’abbiamo vicino. Sembrerebbe che le campagne militari sostenute dai Paesi occidentali nell’area Medio-orientale e in Africa, stanno ridisegnando i nostri confini.

Ci stiamo abituando a vedere ogni giorno continui sbarchi senza soluzione di continuità, sempre puntando il dito sugli altri! Quanta povera gente… ma ce ne rendiamo conto? Chi se ne sta prendendo la responsabilità? La politica forse? Bisogna essere veramente liberi dentro per dire certe cose, anche solo per poterle dire. Papa Francesco lo sta facendo, ma anche lui con qualche difficoltà dentro e fuori la Chiesa. Come a Lampedusa dopo il tragico naufragio dei 144 di due anni fa: “Chi sta piangendo per loro?!”.

L’uomo di sempre, che siamo un po’ anche noi, deve continuare ad essere ponte di pace perché è il mestiere che gli viene meglio. Mestiere di tanti, ma mai di troppi. Il mondo ha bisogno di tanti che ci mettono l’anima per renderlo migliore, e non di pochi che fanno i propri interessi. Certo è più difficile perché essere ponte, fare da ponte, chiede di rimettere in discussione la propria vita (che comunque e nonostante tutto, cambierebbe).

Mentre ripariamo rovine distrutte là dove il Signore ci manda, continuiamo ad accogliere l’uomo di sempre con amore di padre e di madre, come figli e fratelli, sotto lo stesso sole!


 

 

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