Più genitori che amici

Pubblicato il 09-08-2012

di Gabriella Delpero

di Gabriella Delpero - Tensioni, dialogo, confronto in famiglia. La chiave dell’educazione nella riscoperta dei ruoli. Un padre esasperato dagli atteggiamenti provocatori del figlio sedicenne (e dalle continue lamentele per il suo comportamento insolente da parte di insegnanti, vicini di casa, parenti ed amici) pone alla fine la fatidica domanda: “Ma cos’hanno nella testa i ragazzi di oggi? Cosa vogliono? In che cosa abbiamo sbagliato noi genitori?”. E comincia a raccontare di sé e della propria giovinezza, del suo paese di origine e dei metodi educativi piuttosto spicci che si usavano in quel periodo: regole e divieti venivano semplicemente calati dall’alto, senza preoccuparsi troppo di motivarne le ragioni, e si dava per scontato che sarebbero stati puntualmente rispettati. Naturalmente questa visione dei bei tempi andati come un’epoca felice, in cui tutto era più semplice e chiaro, è soltanto un’illusione. Nello scorrere della storia la vita in famiglia è sempre stata caratterizzata da tensioni e problemi e il rapporto genitori-figli non è mai stato privo di conflitti ed incomprensioni. La famiglia ideale e perfetta non è mai esistita.

Affermare che “oggi la famiglia è in crisi” è quindi un po’ una banalità, anche se poi non è così scontato individuare con chiarezza e precisione le cause specifiche delle difficoltà attuali. Come ha scritto recentemente lo psichiatra Paolo Crepet, si ha infatti “la percezione che ciò che stiamo vivendo non sia frutto di errori di percorso o involuzioni impreviste, ma di una straordinaria mutazione antropologica che coinvolge la famiglia, i giovani e le loro culture, ovvero l’intera comunità”. Stiamo tutti cambiando nel profondo, insomma, e non è così facile studiare le caratteristiche del cambiamento mentre lo si sta vivendo… dall’interno! Cerchiamo allora di individuare almeno qualche elemento di fondo che possa farci da ancora, per mantenere una certa stabilità mentre le acque intorno a noi continuano ad essere violentemente agitate dai venti. Primo elemento: le famiglie di oggi (non tutte, naturalmente) sembrano essere quelle dove i genitori si arrendono, concedono tutto ai figli per senso di colpa o per paura di essere rifiutati. È abbastanza diffuso il timore di causare danni irreversibili ai figli prendendo decisioni impopolari sulla loro educazione.

Torniamo allora a riflettere sul fatto che il rapporto genitori-figli non è per sua natura paritario, ma gerarchico e che gli adulti hanno un’insostituibile responsabilità educativa collettiva nei confronti delle nuove generazioni. Nel nostro attuale contesto di crisi dell’autorità molti adulti hanno invece ultimamente abdicato al proprio ruolo, consentendo ai bambini di diventare veri e propri tiranni, salvo poi lamentarsi per la rabbia di sentirsi ricattati o la fatica di doverli continuamente accontentare. E per un adolescente risulta oggi particolarmente difficile capire quale sia la sponda dell’età adulta, visto che molti genitori si dilettano a fare non tanto gli adulti ma semplicemente gli amici, ad essere eventualmente anche più trasgressivi degli adolescenti stessi. Gli adulti, siano essi genitori o insegnanti, devono invece assumersi la responsabilità e i rischi insiti nel loro ruolo, che per lunghi anni rimane di sostegno, di guida e di controllo. Infatti “famiglia e scuola sono forme democratiche molto imperfette, attente all’età dei propri componenti: per far crescere i piccoli e fintanto che non sono uomini e donne maggiorenni e (anche economicamente) autonomi, occorrono rispetto reciproco e una sola guida. Ovvero due, il padre e la madre, se riescono a sentire all’unisono e a parlare un’unica lingua” (Paolo Crepet). Secondo elemento: oggi è molto comune abbassare il livello, tenere un basso profilo nella qualità della relazione con i figli, limitandosi ad occuparsi quotidianamente di cose assolutamente secondarie e superficiali, quasi esclusivamente materiali.

Si tende invece a trascurare del tutto l’educazione dei sentimenti e delle emozioni, la trasmissione di principi e valori, l’allenamento alla fatica e all’impegno, la lotta contro limiti e difetti, la valorizzazione delle reali capacità e la ferma richiesta di coerenza e di assoluta onestà nei comportamenti. Per non parlare dell’attuale scomparsa di qualsiasi tentativo di educazione – o almeno di sensibilizzazione, di attenzione – a quella che una volta si chiamava vita spirituale. Eppure rimane vero che “la persona è da sempre preordinata e orientata a qualcosa che non finisce in se stessa, nei propri sentimenti o in quelli di un altro essere vivente che incontra. In un modo o nell’altro la persona va oltre se stessa e proprio nella trascendenza di se stessa è l’essenza dell’esistenza umana” (Viktor E. Frankl, 1905-1997, fondatore della logoterapia). E c’è perfino chi ha sostenuto che credere in Dio significa “essere inquieti: insoddisfatti di quello che già siamo, di quello che già facciamo” (Primo Mazzolari). Perché non proporre alle nuove generazioni anche questa sana inquietudine? Bisogna insomma ritrovare il coraggio di puntare più in alto, molto più in alto! “Se guardassimo sempre il cielo, finiremmo per avere le ali”, scriveva Gustave Flaubert. E un proverbio indiano dice: “Aggancia il tuo aratro ad una stella”. Terzo elemento. Afferma lo studioso francese David Breton: “Le condotte a rischio sono in primo luogo dolorosi tentativi di ritualizzare il passaggio all’età adulta”.

Se questo è vero, bisogna riconoscere che evidentemente l’odierna totale mancanza di riti di passaggio fra le varie età della vita ha causato più problemi di quanti ne abbia risolti. In effetti, oggi gli elementi di rottura fra l’età infantile e quella adolescenziale/adulta sembrano essere confinati esclusivamente all’interno della vita privata delle famiglie e si riducono alla tanto sospirata prima entrata in discoteca, all’abolizione di ogni orario che regolarizzi almeno un po’ il quotidiano ritmo sonnoveglia, alla personalizzazione del corpo attraverso trucchi pesanti, piercing e tatuaggi, alle precoci esperienze sessuali, all’eventuale uso di sostanze o farmaci di vari tipi ed all’abuso di alcol. Forse solo il fatto di prendere la patente segna ancora il passaggio alla maggiore età in modo ufficiale e ragionevolmente condiviso tra le varie generazioni. L’esame di scuola guida è l’unico che i ragazzi vogliono assolutamente superare al primo colpo e la patente è per loro il traguardo di una serie di ragionamenti che si condensano nella frase: “Finalmente sono libero”. Peccato che anche qui i genitori spesso non sappiano cogliere l’occasione per far vivere ai figli questo momento magico come una vera responsabilizzazione. Che significa saper aspettare (si può prendere la patente anche a 19 o 20 anni…), non ottenere tutto e subito (si può utilizzare l’automobile dei genitori o dei fratelli più grandi invece di pretendere di averne una nuova tutta per sé…), imparare cioè a guadagnarsi le cose e a condividerle.

Scrive Ilvo Diamanti: “Le discussioni in famiglia, le tensioni fra genitori e figli, si sono progressivamente ridotte, rarefatte. Fra genitori e figli vige una sorta di patto di reciproco silenzio, di reciproca cautela. Ciascuno cerca di evitare di affrontare argomenti e questioni che possano sollevare contrasti. Per garantire una coabitazione meno faticosa”. Conclusione? Tutto ciò che ha valore e dura nel tempo costa fatica, molta fatica e richiede impegno. Da parte di tutti.

NP Special – La passione educa 3/6
Una società bloccata, la fatica dei giovani, la crisi del mondo degli adulti. Il dialogo tra generazioni è sempre più impegnativo. Esiste una via di uscita? Giovani e adulti possono ancora camminare e progettare un futuro insieme? L’incontro passa solo dalle persone, da esempi credibili, da passione vissuta e testimoniata.


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