Relazioni tossiche

Pubblicato il 20-06-2023

di Simona Pagani

Da oltre 20 anni il Sermig accoglie donne vittime di maltrattamento, sole o con bimbi. Quasi mai è un solo episodio a spingere una donna a sporgere denuncia. Si tratta quasi sempre di una storia in cui violenze fisiche, verbali, psicologiche si intrecciano. Sullo sfondo, la violenza assistita da parte dei figli e spesso con la connivenza dei familiari. Centinaia sono le donne che abbiamo accolto e sostenuto nel loro coraggio di denunciare e di provare a costruire sulle loro fragili vite un cammino nuovo. Non poche però sono quelle che decidono di tornare dal compagno. Gli elementi che hanno un peso in una storia di maltrattamento sono tanti: dipendenza affettiva, economica, isolamento linguistico e sociale, preoccupazione per i figli, tabù culturali, stigma sociale.

Eva ha 50 anni, arriva accompagnata dalla polizia. Corporatura minuta, voce sottile, fare remissivo. Il volto gonfio dalle botte. Parla bene italiano. Lavora come colf. Piange in modo composto mentre racconta le violenze che da oltre 30 anni subisce dal marito alcolista. Più volte è intervenuta la polizia sollecitata dai vicini, ma prima d’ora non ha mai trovato il coraggio di denunciarlo.
Eva chiede di rientrare in Cile dove stanno la madre e le figlie che hanno preferito tornare a vivere con la nonna. Le consigliamo di spegnere il telefono, ma lei non ce la fa e, come da copione, inizia a ricevere chiamate dal marito che le promette di cambiare. Così Eva, a distanza di una settimana, con ancora i lividi sul volto e le lacrime che scendono da sole, ci spiega che deve rientrare a casa. Il suo posto è lì. Il marito in realtà è un uomo buono, le vuole tanto bene e senza di lei non può vivere.

Storie come questa rivelano che a essere malata è la relazione e che sulle relazioni occorre lavorare. A volte la fragilità di queste donne è talmente grande che risulta impossibile pensarsi senza l’altro. E se dall’esterno il rientro a casa può sembrare un radicale fallimento, in realtà la forza trovata di sporgere una denuncia e venire via, seppur per pochi giorni è, al momento, il passo più grande nelle possibilità di molte di loro. Credo che il nostro compito sia imparare ad affiancare queste donne con rispetto, senza giudizio, senza sostituirci, senza forzare scelte che non sono in grado di sostenere emotivamente e psicologicamente. Continuare a esserci, con la porta aperta, per offrire un’alternativa possibile e percorribile a chi è vittima di un compagno violento e della sua fragilità relazionale.


Simona Pagani
NP marzo 2023

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