Rialzati e lavora

Pubblicato il 31-08-2009

di Loris Dadam

Improvvisamente il nostro Paese si è scoperto in crisi. Fino al mese scorso eravamo fra i pochi in Europa a rispettare i parametri di Maastricht…

di Loris Dadam
Il “made in Italy”, l’azienda familiare, ci mettevano al riparo dalle crisi strutturali che colpiscono periodicamente la grande industria. La verità è che tutto ciò è stato lo specchietto per le allodole dietro cui si è nascosta una decadenza strutturale del sistema, iniziata, non ieri, ma negli anni '90, quando, dopo la caduta del comunismo e l’inizio della globalizzazione, sono andati in crisi anche i sistemi di protezione statale goduti dall’economia italiana per tutto il dopoguerra.
Negli anni '90 abbiamo assistito alla sistematica distruzione-accaparramento di tutti i nostri settori strategici, a cominciare dalla chimica dei Premi Nobel sepolta assieme ai cadaveri di Cagliari e Gardini. E poi l’elettronica con la fine dell’Olivetti, i trasporti con la vendita di Fiat-ferroviaria ai francesi, e sempre ai francesi è andata l’industria alimentare e quella energetica all’EDF. Tralasciamo, per carità di patria, le privatizzazioni delle aziende pubbliche (cioè nostre) a favore degli amici degli amici.

L’ultima grande azienda nazionale, la Fiat, si trova sull’orlo del baratro, grazie anche ad una serie di errori nelle scelte strategiche e di mercato da parte della direzione.
Ma il punto comune è che, nella cosiddetta Prima Repubblica, le grandi aziende, pubbliche o private che fossero, prosperavano solo grazie ai finanziamenti statali (da cui il milione di miliardi di lire di debito che ci trasciniamo dietro). Quando, grazie all’Europa di Maastricht, questi sono venuti meno, il sistema è andato in crisi: i partiti che su quel sistema avevano costruito la propria ragion d’essere sono implosi, eliminati in parte dalle inchieste giudiziarie ed in parte dalla loro involuzione ideale e politica.

Restava la piccola e media industria, quel fitto tessuto economico, per lo più a conduzione familiare, creativo, individualista, che costituisce una caratteristica peculiare del nostro Paese e che tradizionalmente attutiva le crisi cicliche della grande industria.
Questo è il tessuto sociale che ha mandato al governo Berlusconi: non i grandi capitalisti di Confindustria, le cui fortune provenivano dalla spesa pubblica, ma i milioni di partite IVA che chiedevano mano libera e meno tasse.

L’irrompere sul mercato globale delle produzioni dell’Est europeo, dell’Estremo Oriente e, prima di tutto dell’India e della Cina proprio nei settori merceologici coperti dalla nostra piccola e media industria (il tessile fra i primi) ha esteso la crisi anche a queste.
Quello che preoccupa di più è però l’atteggiamento diffuso degli italiani, che non mostrano alcuna reazione di vitalità. Sembriamo un Paese di pensionati, intenti a contare (chi le ha) le proprie rendite e pensioni, incapaci di slanci innovativi, di immaginazione, di rischio. L’economia sembra la metafora del declino demografico: la generazione del baby-boom abbarbicata ai propri posti con il solo scopo di alzare, negli ultimi anni di lavoro, il tetto delle prossime pensioni, fa diga all’ingresso dei giovani (dei propri figli) nelle stanze dei bottoni.

La dimostrazione di ciò è il basso livello di investimenti nella ricerca e nell’innovazione, vero indice di una società proiettata verso il futuro: la spesa privata per ricerca e sviluppo è la più bassa nell’Unione Europea, la metà della media europea. L’Italia produce 7 brevetti ogni milione di abitanti, contro i 48 degli Stati Uniti e 45 della Germania. Se questo è il quadro, mi pare scontato che molto difficilmente si troverà una via d’uscita positiva senza turbare gli equilibri esistenti.

Il motore dello sviluppo economico è il capitale umano, la conoscenza, la capacità, l’ingegno, l’intuito, la curiosità intellettuale di ricercare nuove strade, di provare nuove soluzioni, di sperimentare, di intraprendere. Il teologo americano Michael Novak (foto) spiega il concetto in termini ebraico-cristiani: Dio ha creato gli uomini a sua immagine e somiglianza, affinché prendessero parte all’opera di creazione.
Le aree dinamiche e ricche sono quelle che riescono ad attrarre e valorizzare questo dono di Dio, questa particolare risorsa, attraverso le istituzioni del potere politico e le istituzioni del sistema morale-culturale.

Il dramma della crisi non sta nella concorrenza dei prodotti cinesi, ma nella diversa cultura del lavoro e dello studio che hanno i cinesi, non solo quelli che vivono in Cina, ma anche quelli che vivono qui da noi: malgrado la Rivoluzione Culturale del Presidente Mao, i cinesi non hanno interiorizzato nella società l’ideologia della negazione del valore-lavoro, come hanno fatto i loro epigoni nostrani, così come la negazione del valore dello studio e della cultura come strumento di avanzamento e mobilità sociale.

CHI è MICHAEL NOVAK?

Michael Novak (Pennsylvania, 1933), teologo, politologo, teorico dell’economia e studioso di scienze sociali. Già docente presso varie università degli Stati Uniti, attualmente insegna Religion and Public Policy presso l’American Enterprise Institute di Washington D.C. dove tra l’altro dirige il Dipartimento di Scienze Sociali.
Autore di numerosi libri, è conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno intellettuale a favore della libertà e della dignità dell’uomo.

La concorrenza dei popoli emergenti, non quella sul prezzo delle mutande ma quella vera, si esercita perché loro studiano e lavorano più di noi ed hanno un tenore di vita più sobrio, con grandi economie-sinergie familiari. Chi studia i grandi periodi di trasformazione del passato vedrà che alla base dello sviluppo c’è sempre stata una situazione sociale eticamente austera.
I libertini (che sono umanamente più simpatici) non producono risorse, non fanno rivoluzioni, non trasformano nulla: consumano solo. I creatori del nuovo sono i puritani.

Se sommiamo la crisi in atto allo scontro di civiltà in Iraq ed Afghanistan, l’impressione che ne ricaviamo è che la grande festa inaugurata negli anni ‘60 sia definitivamente finita e sia incominciato il tempo di riprendere in mano i molti fili che quella festa ha inopinatamente spezzato.
Forse è per questo che lo Spirito Santo, che ha le antenne lunghe, ci ha mandato Benedetto XVI, per aiutarci nella ricostruzione.

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