RUDOLF HOESS, ovvero…

Pubblicato il 31-08-2009

di Alessandro Moroni


… l’insostenibile banalità del male. La storia si fa maestra.

di Alessandro Moroni

L'uomo è di natura schiva, mite, ordinata e volonterosa; pervaso da un assoluto senso del dovere, preciso, meticoloso fino a livello maniacale. Odia alzare la voce con i propri sottoposti e non si sognerebbe di sollevare alcuna critica ai propri superiori; però non sopporta le inefficienze e di fronte all'incuria altrui magari sbuffa e scuote la testa, per l'assenza di sensibilità e la "scarsa considerazione del suo lavoro"; ma poi non perde tempo, redige un rapporto dettagliato su tutto quanto andrebbe migliorato, si rimbocca le maniche e si impegna in prima persona a risolvere i problemi del caso. L'uomo è anche affettuoso con la moglie e i figli e tra le priorità ha quella di evitare che la propria famiglia risenta dello stress al quale lo sottopone il suo lavoro. È talmente osservante della disciplina e ha un tale senso della gerarchia che se per caso qualcuno osasse rinfacciargli una corresponsabilità morale in un compito assegnatogli, lui ne resterebbe stupito, perché esegue e nulla più! L'unica responsabilità che riconosce come sua risiede nella maggiore o minore efficienza con la quale conduce a termine le mansioni di volta in volta affidategli.
Non stiamo parlando del direttore di un ufficio postale, né del preside in una scuola, né del responsabile dell'esercizio di un nodo ferroviario. Nemmeno di un sottosegretario di ministero, né del capo di un centro di smaltimento rifiuti. Stiamo parlando di uno tra i massimi carnefici della storia dell'umanità: Rudolf Hoess, progettista prima e comandante poi del campo di sterminio di Auschwitz, nel quale furono assassinati un milione e mezzo di prigionieri, in massima parte ebrei.

Se entriamo più in dettaglio nella vita di Hoess c'è da restare ancora più esterrefatti:
per esempio apprendendo che nacque in una famiglia rigorosamente cattolica, che da giovanissimo servì come volontario nella Croce Rossa e che fu sul punto di abbracciare il sacerdozio. Fu la Prima Guerra Mondiale a cominciare ad attirarlo verso quello che potremmo definire il "lato oscuro": a soli 16 anni si arruolò volontario nell'esercito tedesco.
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Rudolf Hoess
Gli fu risparmiato il "carnaio" del fronte occidentale e si ritrovò a combattere in fronti secondari e quasi dimenticati, come quello iracheno, dove, nemmeno a dirlo, ebbe modo di distinguersi come soldato coraggioso ed intraprendente.
Ma è nel dopoguerra che inizia a manifestare le sue inclinazioni, all'ombra dell'ascesa di Adolf Hitler. Hoess si iscrive al Partito Nazista nel 1922 e dopo un decennio di alterne vicende conosce personalmente Heinrich Himmler (uno degli uomini più potenti della Germania nazista – n.d.r.), il quale lo convince ad entrare nelle SS. Nel 1933 i nazisti prendono il potere in Germania e Hoess inizia ad assumere incarichi di sempre maggior responsabilità nell'ambito dei campi di concentramento, mettendosi in evidenza per quelle caratteristiche di fredda e cinica efficienza, accoppiata con una sconcertante indifferenza nei confronti delle mansioni svolte, che lo renderanno prezioso per tutta la gerarchia. E questo perché se nominare un sadico di inaudita ferocia a capo di una struttura carceraria può comportare a lungo termine dei problemi, date le caratteristiche di instabilità del personaggio, metterci un freddo burocrate efficientista, caratterizzato da assoluto distacco emotivo nei confronti del massacro che gli viene commissionato, rappresenta, per Himmler e gli altri capi SS, la soluzione ideale.
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Auschwitz
Nel 1940, a Seconda Guerra Mondiale appena iniziata, ecco la svolta: a Hoess viene commissionata le realizzazione di un campo di concentramento ricavato da una vecchia caserma militare presso Oswiecim, un villaggio polacco noto all'epoca col nome di Auschwitz, che inizialmente, si pensa, dovrebbe essere destinato solo a raccogliere e a smistare prigionieri polacchi. Ma nell'estate dell'anno successivo due incontri con Himmler e Eichmann (principale responsabile della logistica dell’Olocausto – n.d.r.) avrebbero chiarito ad Hoess che il complesso che andava creando sarebbe stato non solo la più grande struttura carceraria della Germania nazista (capace di contenere 120.000 internati), ma anche l'epicentro ideale di quella che Eichmann chiamava la "soluzione finale del problema ebraico".

Tutte le caratteristiche più tragiche di quel luogo (il treno che trasportava i condannati fin dentro il campo, le camere a gas, i forni crematori, l'allucinante cartello "Arbeit macht frei", ovvero "il lavoro rende liberi", posto all'ingresso) videro la luce grazie all'inventiva e all'opera instancabile di Rudolf Hoess; il quale si mise alacremente alla ricerca di un gas che potesse "risolvere più facilmente il problema delle uccisioni", posto che, in base alla testimonianza resa da Hoess stesso al processo dei gerarchi nazisti a Norimberga, le fucilazioni di massa si stavano rivelando "un incarico troppo pesante per le SS". Il "problema tecnico" venne poi risolto con l'impiego del gas Cyclon B (acido cianidrico), in grado di uccidere per asfissia svariate centinaia di prigionieri in pochi minuti e che, sempre citando Hoess, "si rivelò molto superiore per efficienza al monossido di carbonio".

Terminata la fase "progettuale", Hoess si distinse, per così dire, anche nella fase "di esercizio", rivelandosi un "manager della morte" di efficienza tale da guadagnarsi più volte l'encomio personale di Himmler, per l'instancabilità e l'assoluto distacco con i quali supervisionava personalmente le varie fasi dello sterminio di massa, rimuovendo i piccoli e grandi ostacoli tecnici che di volta in volta si presentavano (avarie delle camere a gas e dei crematori, infiltrazioni nei contenitori del gas in fase di trasporto con conseguente diminuzione della sua efficacia, scarsezza numerica e "inefficienza" del personale preposto al massacro; e così via). Questo fino al novembre 1943, quando Hoess fu promosso a comandante dell'Ispettorato dei campi di concentramento. Tuttavia non fu possibile a lungo rinunciare alle sue qualità inimitabili di "boia impiegatizio", e allora eccolo, nell'estate 1944, di ritorno ad Auschwitz, a sovrintendere alle operazioni di sterminio degli ebrei ungheresi. Fu in quel periodo che il campo raggiunse il suo massimo potenziale distruttivo, con il massacro di 400.000 prigionieri in soli 3 mesi: nella circostanza Hoess estromise il comandante nominale Josef Kramer, del quale ebbe modo di stigmatizzare "l'inefficienza".

Nell'inverno successivo Hoess fu incaricato di organizzare l'evacuazione dei vari campi di sterminio nell'Europa dell'est, ormai minacciati dall'avanzata sovietica: si voleva a tutti i costi impedire che gli internati superstiti cadessero in mano Alleata. Negli ultimi giorni del conflitto, data l'ineluttabilità della sconfitta tedesca, Hoess, come altri gerarchi nazisti, assunse un'identità fittizia e tentò di nascondersi. Gli inglesi riuscirono a catturarlo nel marzo del 1946. Nel successivo processo di Norimberga Rudolf Hoess lasciò esterrefatto l'uditorio, snocciolando con la precisione certosina e lo stile impersonale che sempre lo contraddistinse fatti, nomi e numeri, quasi che il milione e mezzo di esseri umani massacrati ad Auschwitz non ricadessero sotto la sua diretta responsabilità.
Lo stesso stile imperturbabile caratterizza un saggio autobiografico da lui scritto durante i successivi mesi di prigionia, pubblicato in italiano con il titolo "Comandante ad Auschwitz": consigliamo a tutti di leggerlo, per prendere coscienza fino in fondo del male non incarnato da un sadico fanatico iroso con gli occhi costantemente iniettati di sangue, ma da un oscuro, grigio funzionario, meticoloso e loquace, di carattere mite e che andava vantandosi di non avere mai provato odio per alcuno.
Negli ultimi suoi giorni di vita, in attesa di essere impiccato proprio ad Auschwitz, scrisse al figlio maggiore quella che forse è la cosa migliore uscita dalla sua mente in tutta la sua vita (anche se l'esortazione sembra un po' troppo improntata alla filosofia del "va' dove ti porta il cuore", lasciando dei dubbi circa un autentico pentimento): "Lasciati guidare soprattutto dal calore e dall'umanità.
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Impara a pensare e giudicare responsabilmente da solo. Non accettare tutto acriticamente e come assolutamente vero: il più grave errore della mia vita è stato credere fedelmente a tutto ciò che venisse dall'alto senza avere il minimo dubbio circa la verità che mi veniva presentata. Cammina attraverso la vita con gli occhi aperti, esamina i pro ed i contro in ogni argomento. Non lasciare parlare solo la tua mente, ma ascolta soprattutto la voce del tuo cuore".

Non è necessario essere postulanti dell'Inferno per cadere nel male: basta intraprendere la strada della deresponsabilizzazione, fino al punto di contemplare la nostra vita come se non fossimo noi ad orientarla; di fatto, come se fosse un film che ci scorre davanti agli occhi, e nulla più.
Alessandro Moroni


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