Se un insegnante imparasse dai propri studenti...

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro

La pace chiede coerenza, chiede di essere disposti a pagare di persona. Troppo difficile? Leggete questa testimonianza…

Un’amica del portale Giovanipace


Ho ventitre anni e sono da poco laureata in Scienze della Formazione. Avrei piacere di raccontare quella che è stata la mia prima esperienza di lavoro e quello che da essa ho imparato come persona e come cristiana.
Ho passato due mesi in cerca di un'occupazione dopo la tesi e continuamente ho ricevuto prima speranze e poi rifiuti. Un giorno mi sono sentita particolarmente nelle mani di Dio e, inaspettatamente, il sacerdote della parrocchia in cui collaboro, responsabile dell'Ufficio Catechistico, mi ha proposto una supplenza di Religione presso un Liceo privato locale. Sono rimasta a bocca aperta.
Subito milioni di motivi per rifiutare: non ho studiato teologia, sono solo un'educatrice d'infanzia, ho timore di relazionarmi con gli adolescenti... sento nel cuore, però, un fuoco che mi spinge a provare, a mettermi in gioco. Accetto.
Il primo giorno sono agitata, così prego molto prima di entrare a scuola. Mi faccio guidare dall'ECCOMI di Maria ed entro in classe non con una lezione, ma con la semplicità di chi vuole costruire un dialogo su tematiche sia di fede sia legate agli interessi dei miei allievi. Sono felice, entro sorridendo e mi accorgo che c'è distensione attorno a me. Come primo giorno ci conosciamo un po’: capisco che tutti hanno in comune l'amore per la musica. Per il sabato successivo mi mobilito al fine di informarmi su tale argomento. Non so come impostare la lezione, ma capisco che mi sto facendo troppi problemi a riguardo.
Mi metto di nuovo in preghiera e improvvisamente mi ricordo di una bellissima lettera sulla musica scritta da una ragazza passata all'Arsenale della Pace la scorsa estate e pubblicata su "Nuovo Progetto" di settembre. Ho deciso, imposto su quella la mia lezione.
Quando rientro in classe ho sempre un po’ di timore, ma ho uno spirito nuovo: voglio essere per questi pochi giorni di supplenza un'insegnante alla rovescia, voglio ascoltare i miei allievi e basare gli argomenti delle lezioni sui loro bisogni e interrogativi. La novità è accolta bene anche se con sorpresa. Un ragazzo mi colpisce in maniera particolare. Il suo nome è Gabriele. Ci tiene a dirmi che è ateo e si sorprende quando mi vede sorridere e pronunciare le parole: "Non ti preoccupare, anche se insegno Religione non ti giudico affatto". Da quel momento inizia uno scambio di idee stupendo.

Partiamo dal parlare del perché a lui piace la musica
per poi soffermarci su come lui veda Dio. Cominciano attacchi durissimi sui catechisti, spesso portatori di un messaggio "morto" perché non incarnato nella vita quotidiana. Sento una ferita al cuore. Lo guardo negli occhi e gli dico: "Hai ragione". Apprezza il mio non voler giustificare a tutti i costi gli errori che spesso compiono uomini e donne di Chiesa. Sento che si è instaurata fiducia. Dentro di me chiedo perdono a Dio per tutte le volte che da catechista anch’io ho effettivamente parlato di temi che per prima non mi impegnavo a praticare. Il riconoscere questa mancanza mi dà pace.


Il tempo intanto passa
e il discorso comincia a vertere su un'immagine di Dio come giudice distaccato. Prendo spunto da questa constatazione per iniziare a proporre loro un Dio "diverso" da come se lo immaginano: buono, attento, pieno di cura per le sue creature come una madre in attesa del suo bambino. Mi guardano tutti con occhi meravigliati e in quel momento sento che Dio si sta servendo di me per arrivare ai loro cuori. Alla fine lascio del tempo libero avendo avuto paura di aver parlato troppo.

Con sorpresa noto che Gabriele si avvicina alla cattedra per parlare ancora con me. Mi racconta che ama il teatro e che una volta ha avuto la soddisfazione di creare un personaggio tutto suo: un mafioso! Mi dice anche che ha dovuto leggere un sacco di libri sulla mafia per avere informazioni a proposito, ma è poi uscito un capolavoro.
Qui arriva il momento più sorprendente. Mi dice: "Lo sa prof.? Il mondo della mafia non fa cose giuste, ma loro almeno sono coerenti con i loro principi, anche se sbagliati per noi... questo valore non lo vedo né tra i politici né tra gli uomini di Chiesa". Ho ascoltato in silenzio, l'ho ammirato davvero e di nuovo gli ho detto: "Hai ragione".
Ho visto più sapienza in quel diciottenne che in tutti i miei insegnanti universitari.
Purtroppo suona la campanella e ci salutiamo, ma prima di andarcene i nostri sguardi si scambiano un GRAZIE reciproco.

Poco dopo mi trovo di fronte ad una situazione incredibile: la vice-preside, nel compilare il mio registro personale, mi chiede di segnare presenti allievi inesistenti. Io rimango di sasso. È illegale, ma non avendo il coraggio di dirmelo di persona manda una segretaria a farlo al posto suo. Sono indignata e chiedo spiegazioni.
La mia prima esperienza di lavoro nell'educazione mi ha subito posta di fronte ad un bivio: tengo il posto ma sono una disonesta oppure lascio il lavoro ma conservo la mia dignità? In quel momento mi ritorna in mente il discorso pronunciato poco prima da Gabriele: no, io non lo voglio deludere... voglio provare che è ancora possibile credere nell'onestà e che la coerenza non è solo dei mafiosi ma prima di tutto dei cristiani.

Non solo ho rifiutato il lavoro, ma anche i punti dell'insegnamento e lo stipendio.
Non so che giustificazione è stata data ai ragazzi riguardo al mio improvviso ritiro dall'incarico, so però che Dio mi ha vista e questo basta.
Sono felice di essere stata coerente.
Grazie Gabriele...

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