Senza casa... un disturbo?

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


«Cosa vuoi che faccia per te?». È la domanda che dobbiamo rivolgere al senzacasa che taglia la nostra strada o che bussa alla nostra porta, se vogliamo evitare le facili non risposte.




"Che cosa vuoi?".
"Una monetina".
È questo che il povero domanda ed è questo che mi irrita. Ma come? Sta davanti a noi come uno scandalo sociale, come una piaga aperta sul fianco della nostra società, come una vergogna e non domanda che qualche franco per sopravvivere alcune ore. Voglio indicargli il servizio sociale che lo informerà sui diritti dell'aiuto che eccezionalmente gli potrà venire
  

accordato... Mi ascolta... Finge di mostrarsi interessato. Ma ciò che gli interessa è la fine del mio discorso: gli do o non gli do la monetìna che aspetta?
"Che cosa vuoi?".
"Una coperta".
Con questo freddo, non puoi restare tutta la notte nella rientranza di questo portone! Ti porto in un centro di accoglienza. Là starai caldo. Ti daranno un letto. Potrai lavarti. Ma lui non ne vuole sapere. Ogni argomento è buono per rivendicare la sua libertà. Ciò che gli interessa è una coperta che gli permetta di restare in un angolo, di vivere a modo suo. Non è pronto per reinserirsi in questa società troppo complessa, troppo costrittiva. Se si trova sulla strada, è perché non ne vuol sapere della nostra società così confortevole.
"Che cosa vuoi?".
"Un angolo per dormire".
Ma perché hai lasciato la tua casa e ti sei messo sulla strada? Lo so, cerchi lavoro, tua moglie ti ha chiuso la porta in faccia! Esci di prigione! Non hai più una lira! Mi vergogno di non poterti offrire che delle buone parole. Come restituirgli il lavoro, l'amore, l'onorabilità? E ho paura che sia già troppo tardi. Ha preso la strada ed ora la strada l'ha preso, inesorabilmente! E diventata casa sua.
"Che cosa vuoi?".
"Un bicchiere".
Ah! Ecco. Finalmente sei sincero. Non hai ancora bevuto abbastanza? Non posso rendermi complice della degradazione alla quale ti porta l'alcol. Dovresti fare uno sforzo. Ma che testa hai? Credi che i tuoi figli sarebbero felici di vederti in questo stato? Ma lui, è proprio perché non può vedersi così che beve.
"Che cosa vuoi?".
"E tu?".
Che mi dia del tu mi sorprende e mi diverte. Non ho l'abitudine che la gente mi parli così direttamente. Ma sono pieno di indulgenza e non mi sogno neppure di adombrarmi. È un sempliciotto, mi dico. D'un tratto però, mi sento fremere. Mi accorgo che, fin dal primo contatto, io gli sto dando del tu. Neppure io ho l'abitudine di dare del tu alle persone. Sì, forse ai bambini. Dall'alto della mia dignità di persona ricca e sistemata, con quali occhi l'ho guardato? È rimasto sulla soglia della mia porta. Non l'ho neanche fatto entrare. Ma è lui ora a interrogarmi.
"Che cosa vuoi?".
"Disturbarti".
È vero che se tu fossi pulito e ben rasato, se avessi un tetto, un impiego, una famiglia, ti passerei accanto senza vederti. Non ci saremmo rivolti la parola. Ciascuno se ne sarebbe restato per conto suo. Non ci troveremmo su questa soglia a parlare. Ma tu mi disturbi e bisogna spiegarsi. La tua ombra minaccia il mio comfort e il mio benessere. Tu mi fai paura perché so che basterebbe un po' di sfortuna a mettermi al tuo posto. Tu mi fai vergognare perché accetto a fatica la tua estraneità.
"Che cosa vuoi?".
"Lasciami essere".
Improvvisamente penso all'"Abbandona il tuo paese" di Abramo. Immagino Giuseppe e Maria che a Betlemme cercano una stalla per partorire. Sento la voce di Colui che non aveva una pietra ove posare il capo. Sotto gli stracci puzzolenti vedo il sorriso angelico di Francesco.
Ho mille ragioni per volere che la miseria scompaia. Ma ne ho almeno una per dire grazie alla persona in miseria: essa mi rinvia un'eco del Vangelo. Dopo tutto, con la mia casa e il mio salario, con la mia dignità e la mia assicurazione sulla vita, non sono che un nomade che erra nel deserto verso l'orizzonte della Terra promessa. Noi siamo tutti di passaggio. La nostra vera dimora è altrove, da qualche
arte nel cuore di Dio.
"Va, continua la tua strada!".
Prendi il "sole" che chiedi. Sarà il prezzo della lezione he mi impartisci. E conducimi nella folla dei senzacasa erso colui che deve nascere. A Betlemme, abiterà in mezo a noi, come un senzacasa tra i senzacasa.

Tratto da Un uomo che chiamano clochard - Michel e Colette Collard

(foto A. Ramella)



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