Come si sviluppa oggi il dialogo con la laicità?
Per certi versi, la laicità sembra essere un’araba fenice: di tanto in tanto nei media qualche laico dice: Ahimè, dove siamo noi laici? Dov’è la laicità? D’altro lato, si è creata una mentalità di questo tipo: non c’è religione di Stato ma sembra che la religione dello Stato sia la laicità, non nel senso che lo Stato debba essere laico o garante di un rapporto paritetico tra gli altri e di sé con gli altri, ma che si pone in un atteggiamento che privilegia la visione laica della realtà, come se questa dovesse essere la visione che lo Stato deve privilegiare. In questo caso si assisterebbe ad uno stravolgimento della concezione laica nella sua matrice originaria (che sorse proprio contro il privilegio), dando per scontato il proprio orizzonte mentale come l'orizzonte da cui partire per essere sicuri che tutti gli altri siano garantiti. Quando si finisce in questa logica, non si ammette che le esperienze religiose abbiamo la possibilità di manifestarsi liberamente, pubblicamente, ma si vuole che stiano dentro la coscienza (fuori bisogna che regni asetticamente l'atmosfera ad ossigeno laico). Anche in manifestazioni pubbliche, chi ha una propria fede non la deve dire ma tenersela per sé. Però la professione di fede della laicità si può manifestare pubblicamente. Questo si manifesta, ad es., quando in incontri pubblici dalla platea si alza qualcuno e dice Io ci tengo a precisare che non sono credente, sono laico, al che viene proprio da dire: Ora che hai detto questa frase, credi di essere più credibile? Sarebbe la stessa cosa se uno si alzasse e dicesse Io ci tengo a precisare che sono credente... Invece, su ogni argomento, porta le tue ragioni. In seguito puoi anche dire in cosa credi, ma questa è la vera laicità, quella che non fa di una convinzione una fede, un ideale motivo per ottenere un trattamento di privilegio o per essere detentori di un livello superiore di cittadinanza, di dignità, di credito. Il modello francese di stato aconfessionale è applicabile nel nostro Paese, per dirimere le problematiche che nascono dalla convivenza con i musulmani?
Ci sono oppositori feroci dal punto di vista ideologico, nel timore che l’islam possa rappresentare un pericolo. Timori basati a volte su fatti reali, altre volte su presupposti ideologici non facilmente difendibili sotto il profilo costituzionale.
Tuttavia la difficoltà non sta tanto sul terreno della società civile o dello Stato. Sta piuttosto nella difficoltà che l’islam ha nel momento in cui gli viene chiesto di esibirsi come partner rispetto allo Stato, perché non è in grado di formulare una piattaforma comune di richieste. Lo Stato allora deve tutelarsi rispetto a ciò. Se non c’è un interlocutore chiaro, non bisogna privilegiare l’interlocutore che parla più forte, o quello che crede, all’interno dei rappresentanti, di avere la superiorità rispetto agli altri.
In Francia si è pensato di dipanare questa matassa esaltando la laicità dello Stato, come garanzia. Laddove lo Stato si presenta come Stato, nell’ente pubblico ad es., la laicità si esprime allora con l'eliminazione dell'identità di tutte le fedi religiose. È una soluzione di per sé non criticabile. Sono possibili due soluzioni: o lo Stato ammette tutti o esclude tutti. In questo caso lo Stato non svolge una funzione di superiore tutela che genera un privilegio per se stesso, ma piuttosto svolge la funzione di garante che nessun privilegio emerga rispetto a sé. Ammettere tutti i simboli sarebbe l’altra soluzione, a patto però che nelle strutture pubbliche non ci siano dei luoghi in cui scatti il principio del privilegio legato alla maggioranza presente che determina il simbolo, altrimenti ricadremmo in una forma di mentalità del privilegio, più ridotta territorialmente ma con lo stesso animo.
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