Stato e religioni: reciproco riconoscimento

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro


In un’epoca caratterizzata dai fondamentalismi, e dalla negazione delle libertà religiose è urgente capire, farsi un’idea. Alcune riflessioni a partire dall’articolo 8 della Costituzione…

Intervista a d. Ermis Segatti

[ bilancio articolo 8 ]   [ modello francese, laicità ]


Agensir
Cosa dice l’Articolo 8 della Costituzione?
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Abbiamo chiesto ad Ermis Segatti - Docente di Storia del cristianesimo presso la Facoltà Teologica di Torino – alcune riflessioni proprio a partire dall’articolo della Costituzione che stabilisce la libertà per tutte le confessioni religiose. Vi proponiamo la versione integrale dell’intervista (pubblicata su Nuovo Progetto - gennaio 2005).

 

Sono trascorsi 58 anni dalla promulgazione della Costituzione Italiana e la situazione religiosa del nostro Paese è molto cambiata. Possiamo fare un bilancio?
La Costituzione della Repubblica italiana favorì il passaggio da uno Stato confessionale – nel senso che lo Stato adottava una religione, ma non si capiva bene se anche la religione adottasse uno Stato – ad uno Stato laico. Questo abbraccio era il residuo di un’idea più forte, che nel passato aveva avuto una grandissima storia: il tentativo da parte del cristianesimo di fare proprio l’orizzonte di tutta la società e dello Stato, rappresentato prevalentemente dal suo vertice legato alla persona del sovrano. Questo patto poteva essere concepito come un patto di lealtà reciproca. Il sovrano o l’imperatore s’impegnava a difendere la fede e la Chiesa accettava non solo di essere leale nei confronti dello Stato, ma addirittura di diventarne il sostegno. Questo tipo di abbraccio molto forte sottolineava un bisogno reciproco: lo Stato si serviva del radicamento della Chiesa nella società e la Chiesa contava sul sostegno dello Stato come difensore della religione. Non era un patto perverso, concepito a tavolino e fondato prevalentemente su una logica di potere, ma un patto di bene comune, una grande utopia.
Si andò poi dissolvendo, per spinte che venivano sia dalla Chiesa che dallo Stato. Si verificò un allontanamento sempre più marcato dello Stato dalla sfera confessionale, nella consapevolezza di avere strumenti sufficienti per poter fare a meno della Chiesa, con l’assorbimento di tutte le propaggini sociali che la Chiesa aveva realizzato nel corso del tempo (ospedali, scuole ecc.). In alcune parti dell’occidente questo processo avvenne con una caratteristica di autonomia e di rivalsa crescente rispetto alla sfera religiosa, fino alla punta estrema dell’anarchismo e dell’ateismo (con manifestazioni anche vistose che conosciamo), secondo cui lo Stato, per essere veramente tale, avrebbe dovuto fare a meno della religione. Nel frattempo, divenne sempre più chiaro che la Chiesa doveva ormai fare a meno di questo orizzonte d’appoggio per pensarsi attiva nella società. Questo sganciamento rispetto alla grande utopia del passato poteva essere estremamente utile alla religione per capire meglio se stessa. Le avrebbe consentito di affermarsi in una società in cui si era sempre più consapevoli che l’atto della fede, e non solo la società civile o politica, doveva essere contrassegnato da una forte caratteristica di libertà.
Riguardo alla religione di Stato c’era quindi un’ambiguità di fondo, che persisteva nella legislazione italiana nel ‘900. Anche per questo motivo nella nuova Costituzione si venne ad un riconoscimento da parte dello Stato di una sfera di autonomia della religione. Si giunse all’affermazione di un principio di reciproco riconoscimento e di reciproca libertà ed autonomia, in particolare nel caso dello Stato del Vaticano e della Chiesa cattolica in Italia. Si riconobbe la libertà di entrambe le parti di poter essere attive. Da un lato, lo Stato riconosceva alla Chiesa non solo la libertà di culto e la sfera interiore della coscienza, ma la possibilità di agire nella società civile in qualità di ente giuridico, con manifestazioni ed iniziative pubbliche. Dall’altro lato, la Chiesa riconosceva allo Stato l’autonomia della gestione della vita politica e sociale. Questo riconoscimento reciproco ha davanti a sé un grande futuro.


Agensir

Il diritto alla libertà religiosa garantito dalla nostra Costituzione è esportabile in altri Paesi, per esempio in Cina e negli stati musulmani?
Probabilmente è questa l’unica ipotesi attuale, recepita anche nella carta dell’ONU, per far convivere, in condizioni di pari dignità, visioni del mondo sia civili (politiche), sia religiose (spirituali, filosofiche ecc.), senza farle scontrare o metterle in una condizione di privilegio, né rispetto allo Stato né l’una rispetto all’altra. Questa multipla parità sembra essere l’ipotesi migliore per affrontare un mondo che è plurimo, non omogeneizzabile, e che ha tendenze molto forti a concepire la verità di ognuno in termini di privilegio ed esclusivismo.
Per realizzare questo tipo di ipotesi non basta però lanciare volantini dall’aereo o, peggio ancora, bombe. Dovrebbe esserci una progettualità che favorisca il graduale affermarsi di questo tipo di mentalità. Occorre preparare il terreno, in modo che le persone si abituino gradualmente a vivere in condizione non protetta la loro convinzione religiosa, a sentirsi sufficientemente considerati e rispettati con il cadere di questa protezione. Ciò non è semplice. Allo stato attuale, ritengo che questo sia l’orizzonte utopico più dignitoso per tutte le fedi: nessuno si pone in una posizione superiore e concede, ma tutti sono in una posizione paritetica di riconoscimento. Non è lo Stato che concede, non è la religione che ammette, ma lo Stato e le religioni si pongono in una posizione equidistante.
Alcuni esempi?
Il primo riguarda la società cinese e la vietnamita, che hanno sì concesso una certa libertà alle chiese e alle varie confessioni, ma non hanno concesso libertà di idee; quindi perché le chiese sì e non le opinioni politiche diverse? Qui lo Stato si pone in una condizione di totale controllo, come l’entità superiore rispetto a cui le altre devono ricevere per concessione ciò che lo Stato dà. Come si diceva nel ‘700, contro l’assolutismo, non possiamo accettare che i diritti dell’uomo vengano concessi, i diritti devono essere ri-conosciuti. Semmai lo Stato può compiere un lavoro di educazione, di formazione, ma non porsi come elargitore dall’alto.
Il secondo esempio concerne alcuni Stati islamici, magari neanche tanto integralisti, ma che danno per scontato che lo Stato deve avere la configurazione islamica. Qui si pone un problema più delicato, perché l’islam ha una concezione della sfera spirituale e religiosa dell’uomo che in qualche misura si esprime attraverso la regolamentazione dell’intera vita sociale. A volte sono ammesse espressioni di pluralismo e di tolleranza, ma sempre a partire di nuovo dalla concessione, o meglio dall’idea diffusa della tutela che lo Stato islamico esercita su tutta la società.
C’è da augurarsi che in futuro i cristiani o altri negli Stati islamici possano finalmente fare a meno della tutela di chicchessia, perché la tutela finisce sempre per essere discriminante e la discriminazione presuppone sempre un giudizio di non uguaglianza nella dignità religiosa e spirituale. Questo, se nel breve periodo sembra esaltare, agli occhi di chi la possiede, la superiorità della propria fede, nei tempi lunghi sottolinea la debolezza di quella fede, che ha bisogno di avere una condizione privilegiata per affermare la sua verità, quindi si appoggia a fattori esterni. È il travaglio che appunto era stato percorso nella società occidentale: la Chiesa cattolica ha sofferto molto per riuscire ad incamerare positivamente un trapasso “da, a”.

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