Un maialino rosa

Pubblicato il 31-08-2009

di andrea


Un enorme maialino rosa di peluche è arrivato nel cortile dell'Arsenale della pace. Si tratta tutto sommato di un oggetto simpatico anche se un po' kitsch.


  Un enorme maialino rosa
di peluche è arrivato
nel cortile
dell'Arsenale della pace. Si tratta
tutto sommato di un oggetto simpatico anche se un po' kitch. E' un emblema del consumismo. E' troppo ingombrante per stare in una stanza, è superfluo. D'altra parte oggi le camere sono minuscole e sovente sovraffollate. Mi ricordo un "corticos", un alveare, a San Paolo in Brasile dove centinaia di persone, moltissimi i bambini, vivevano in poche decine di metri quadrati. Il contrasto era forte perché quell'alveare umano si appoggiava a un moderno grattacielo di svariati piani con tanto di portinaio armato.

 

 
    
 

Da un cortile di Torino a uno di San Paolo, dall'Italia al Brasile, da una situazione di prosperità diffusa a un'altra dove il benessere è privilegio di pochi. Anche questa è globalizzazione.

I mercati finanziari, le borse, i media, le comunicazioni, la tecnologia, la produzione di beni, l'ecologia, la cultura, le migrazioni, i vari aspetti della vita sociale e politica sono mondializzati, sono interconnessi, sono parte del villaggio globale. Non è necessario essere economisti patentati, esperti di politiche di mercato per esserci dentro più o meno consapevolmente. Tutto quello che compriamo, che mangiamo, i vestiti, le scarpe, i libri, i film, le vacanze, i computer, i telefonini sono "global". Tuttavia questa economia neoliberista che spopola da una parte all'altra del pianeta si porta dietro parecchi aspetti negativi, ed è spesso causa di soprusi, di violenze, di ingiustizie.

L'economia di mercato di per se è un fatto positivo. Consente alle popolazioni, agli stati di crescere, di aprirsi a nuove opportunità non solo economiche, ma anche culturali, sociali, tecnologiche, scientifiche. In altre parole crea sviluppo, crea progresso. I risultati delle ricerche nel campo medico per esempio offrono a milioni di persone senza distinzione di religione, di colore, di appartenenza politica, i benefici più appropriati per la cura delle malattie. Ma questo stesso mercato è insieme negativo quando è causa di ingiustizie, perfino di morte come nel caso del commercio delle armi.
Mi ricordo un film in cui un imprenditore dopo aver stracciato il concorrente commenta: "niente di personale". Ma il mercato non è impersonale, e non è un assoluto.

Il mercato non è un fine, è uno strumento, manovrato da operatori che hanno interessi, motivazioni, valori diversi e si rivolgono a gruppi di persone che a loro volta hanno propri valori e regole. Non possiamo pensare che l'economia possa fare a meno di un sistema di regole, che non abbia valori a cui riferirsi, che non abbia bisogno di un'etica. Ogni volta che facciamo un'operazione finanziaria, per esempio investendo il nostro denaro in borsa, provochiamo conseguenze da qualche parte. Il nostro investimento può essere dettato da motivi comprensibili ed eticamente corretti, oppure da un crudo interesse speculativo. Quanti "giocano" in borsa senza porsi troppe domande con la speranza di lucrare quel tanto che serve per cambiare la macchina o per farsi una bella vacanza! Gli operatori del mercato, organismi, governi, imprese, privati, possono di volta in volta essere spinti dal profitto e dal potere o agire con spirito di servizio e di solidarietà.

In fondo la globalizzazione può essere governata dall'egoismo o dalla gratuità.
Sono le persone che fanno la differenza mettendo in campo accanto al profitto il rispetto per la vita degli altri. L'economia globale di mercato ha causato forti disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra chi dispone di risorse e chi no. Secondo dati delle Nazioni Unite solo metà della popolazione del pianeta ha accesso al libero mercato, e può quindi godere dei benefici e delle opportunità che dal mercato derivano.

Oggi l'opinione pubblica è più attenta a queste tematiche.
Da alcuni anni questa sensibilità si è organizzata dando vita a molti movimenti che si riconoscono come "no global". Da Seattle in poi questi gruppi lottano, alcuni anche in maniera violenta, contro la globalizzazione, contro le povertà e le discriminazioni, contro le guerre, contro la distruzione del patrimonio ambientale. Dopo Porto Alegre il movimento no global si sta trasformando in new global, affiancando alla protesta iniziative concrete di solidarietà.

Il terzomondismo e la mondialità, cioè l'attenzione per i temi della fame endemica, della miseria, della giustizia, della pace, dello sviluppo, dell'ambiente, dei diritti fondamentali della persona, sono cresciuti nella coscienza della gente. Gli aiuti non sono mancati, sia per situazioni di emergenza come terremoti e altre calamità naturali, sia per sostenere progetti a medio e lungo termine. L'impegno personale è fondamentale e si affianca all'azione politica per fare in modo che si diffondano stabilmente i beni frutto della giustizia, della pace, della democrazia, del rispetto della dignità dell'uomo.

All'Arsenale della Pace non arrivano solo peluches. La globalizzazione o meglio la mondialità si respira momento per momento come l'aria. Arrivano a migliaia uomini e donne, immigrati da paesi del Sud o dell'Est del mondo. Sono più di cento le nazionalità che qui hanno ricevuto un aiuto, una cura, un riparo sicuro. E sono migliaia i giovani che respirano l'aria dell'Arsenale confrontandosi direttamente con le situazioni e i problemi che fanno la globalizzazione. Qui non si demonizza la globalizzazione, non si prepara la protesta, non si lotta contro. Si vive per. Per costruire la pace e la giustizia con la solidarietà, per educare e lasciarsi educare alla mondialità. Per restituire il tempo, l'intelligenza, il cuore mettendoli a disposizione dei miseri. Per crescere consapevoli di poter forgiare un futuro a misura d'uomo dove non conta la logica del profitto, ma la gratuità. Per imparare a vivere grandi ideali di bene. Per donare la vita. E non mancano le occasioni. Migliaia di progetti di sviluppo e di intervento nelle emergenze ne sono una testimonianza concreta.

In fondo al cortile dell'Arsenale c'è il muro della "bontà disarmante". Su un fianco di mattoni screpolati e usurati dal tempo sono stati scritti i nomi dei Paesi dove la solidarietà di tanta gente ci ha consentito di inviare aiuti. Leggendo le pagine di questo muro si sfoglia il libro della vita.
La globalizzazione con gli aspetti positivi e negativi che la caratterizzano, ci spinge ad alzare la soglia della bontà, del silenzio, della preghiera, ci rende capaci di contemplazione e di commozione, di bontà e di restituzione. I giovani che adotteranno questo stile quando faranno i politici, gli economisti, gli imprenditori, i creativi, i genitori, orienteranno l'economia globale di mercato non verso la logica del profitto, ma verso la vita.

Claudio Maria Picco

 

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