Un porto sicuro

Pubblicato il 09-01-2021

di Gabriella Delpero

L'eredità del lockdown su ragazzi e bambini. Adesso serve solo fiducia.

 

La scuola è ricominciata, ma non tutti gli studenti sono tornati tra i banchi. Non sono pochi, infatti, i bambini – e soprattutto i ragazzi delle medie inferiori e superiori – ad essere rimasti a casa: alcuni hanno frequentato i primi giorni per poi tornare in fretta tra le pareti domestiche, altri non si sono mai presentati all’appello, neppure il primo giorno. Moltissimi dicono di preferire la didattica a distanza e quindi chiedono di ricominciare con le lezioni online, altri confessano semplicemente di “non sentirsela” di affrontare un nuovo anno scolastico, altri ancora accusano sintomi e malesseri di vario tipo, dall’insonnia alle crisi d’ansia, dalla nausea alla tachicardia, dal mal di testa al mal di pancia, e non riescono ad uscire di casa. Non c’è da stupirsi: la pandemia, il lockdown e tutto ciò che ne è seguito hanno lasciato un segno profondo in tutti noi, e non solo nei termini di una crisi economica e una recessione senza precedenti.

La cosiddetta “corona class” (la “ge- nerazione corona”, cioè i ragazzi che escono adesso da scuola e universi- tà), si affaccia ad un mondo del lavoro chiuso, senza sbocchi e si ritrova quindi priva di futuro e di speranza. Ma anche quelli che la scuola la devono ancora frequentare per qualche anno sono in grave difficoltà. In effetti i nostri bambini hanno davvero molto da metabolizzare: la brusca interruzione delle normali attività, l’improvvisa separazione dai coetanei, lo sconvolgimento dell’ordinaria quotidianità domestica, la ancora parziale capacità di capire cos’è e come agisce un virus, il timore della malattia e della morte, l’imposizione di norme e comportamenti inusuali, per non parlare dell’eventuale lutto per la scomparsa di un familiare o di un amico.

Una serie di eventi traumatici, ravvicinati nel tempo, imprevisti ed inevitabili, sono piombati su tutti loro (e tutti noi) come fa una grandinata d’estate sui campi e le vigne: i segni lasciati sul terreno possono essere devastanti ed avere conseguenze che si prolungano nei mesi successivi andando a compromettere i futuri raccolti.

E così le domande, i dubbi, le paure dei genitori su comportamenti mai avuti prima dai propri figli si stanno rincorrendo negli ambulatori dei medici e degli psicologi. Davide, 14 mesi, dall’età di 5 frequenta il nido ed è sempre stato un bambino tranquillo; la mamma racconta di crisi di pianto inconsolabili, sembra “isterico”, presenta difficoltà alimentari e disturbi del sonno mai avuti prima. Martina, 3 anni, ha ripreso a farsi pipì addosso. Elena, 8 anni, pone ripetute domande sulla morte, ha paura del buio e necessità di tornare a dormire nel lettone. Francesco, 7 anni, ha paura alla sola idea che i genitori escano di casa. Andrea, 6 anni appena compiuti, teme che gli ex-compagni della scuola materna, che non vede più nella sua nuova classe di prima elementare, siano morti per il coronavirus. Francesca, 12 anni, è apatica, sempre stanca, ha frequenti mal di testa e nessuna intenzione di incontrarsi con le amiche di sempre.

E Antonio, che di anni ne ha 14 e avrebbe dovuto cominciare il primo anno delle superiori (un istituto tecnico scelto da tempo per una sua passione ben precisa), a scuola per il momento non si è proprio presentato e i genitori confessano di sentirsi del tutto impotenti di fronte alla sua disperata passività. La vita di tutti gli esseri umani è una continua ricerca di punti d’appoggio, di sicurezze, di rapporti stabili, di indicazioni chiare. Abbiamo necessità (e nostalgia) di un porto sicuro in cui trovare riparo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. È urgente regalare alle giovani generazioni tutta la fiducia e la speranza di cui siamo capaci.

 

Gabriella Delpero

NP novembre 2020

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