Un tempo che non può finire

Pubblicato il 22-08-2020

di Flaminia Morandi

Davanti a certe accuse che oggi vengono mosse a uomini di Chiesa, vere o no, fa impressione ricordare cos’era la Chiesa dei primi secoli. La Chiesa è un luogo per rinascere, è il mistero della Vita, il Cristo totale, nel capo e nel corpo, dice sant’Agostino. Il battesimo come era fatto nell’antichità lo spiegava nei gesti: triplice immersione totale nell’acqua che si richiude come una tomba sull’iniziato, lo Spirito invocato e donato dall’alto lo fa nascere di nuovo, inzuppando di luce tutta la sua persona, cuore, intelligenza, carne, sensi, talenti. È l’ingresso reale nel mistero: il tempo si squarcia, si viene trasportati dentro la morte e risurrezione di Cristo e da lì si attinge la vita.

La Cresima, sacramento più recente, accentua il dono dello Spirito, accresce la forza di realizzare in modo unico la nuova persona nata dal battesimo.
Capitava che qualcuno commettesse uno dei peccati che feriscono a morte il Corpo di Cristo: apostasia, idolatria, scismi, peccati contro la fede e il culto di Dio; adulterio, fornicazione, offese gravi nelle relazioni personali; omicidi, oltraggi, maltrattamenti, cioè minacce alla convivenza sociale. In ognuno di questi casi, c’è sempre una morte: della fede, della vita familiare, della vita umana. Il peccatore veniva “scomunicato”, tagliato fuori dal Corpo. Stava fuori della chiesa per un tempo lungo (dai tre ai vent’anni in caso di omicidio volontario), durante i quali ricominciava da capo la sua preparazione a diventare cristiano, se realmente lo voleva.

Al termine del tempo stabilito, umilmente si metteva alla porta della chiesa e quando il vescovo faceva il suo ingresso, si gettava ai suoi piedi e chiedeva di essere riammesso. Se il fratello che lo aveva accompagnato confermava il suo pentimento, lo scomunicato poteva riaccostarsi all’eucarestia, cioè al rendimento di grazie, al pane spezzato, condiviso, alla capacità di vedere in ognuno un fratello, un figlio come lui dell’unico Padre.

La vita spirituale ha i suoi tempi lenti. È graduale la presa di coscienza della rivoluzione cosmica che avviene nel battesimo/cresima (che in Oriente sono un unico rito). Così dal rito penitenziale si è arrivati alla “confessione”, che non era però un colloquio di dieci minuti suggerito dal senso di colpa e dalla fretta di cercare sollievo, ma un pellegrinaggio per tappe, lento e graduale come il tempo dell’anima, una presa di coscienza in profondità del male. È il penthos, un tempo che non può finire più: uno stato penitente del cuore, un modo di essere fatto di preghiera incessante, di lacrime, di amore e di partecipazione a tutto il dolore del mondo.

Solo così la Chiesa, casta meretrix, “può funzionare come la vita e non come una macchina”, diceva il patriarca Atenagora. Solo così noi peccatori possiamo somigliare un poco a Cristo, capaci di generare vita nuova.

Flaminia Morandi
NP febbraio 2020

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