Un testamento di speranza

Pubblicato il 09-06-2024

di Annamaria Gobbato

Stephen “Steve” Bantu Biko, attivista sudafricano (1944-1977)

A denunciare la verità sulla morte di Biko fu il giorna­lista del Daily Dispatch Do­nald Woods, suo amico e compagno di battaglie contro l’apartheid. Il de­cesso era dovuto al feroce pestaggio nel carcere di Pretoria – sempre nega­to dal governo – a opera di 5 agenti di polizia, che in seguito scamparono alla condanna grazie alla prescrizione.

Perseguitato, Woods assieme alla famiglia dovette poi lasciare il Paese per chiedere asilo politico a Londra. Nato in una povera fami­glia, Biko con grandi sacrifici riuscì a studiare e a frequentare per alcuni anni la facoltà di medicina del Na­tal. Contemporaneamente si iscrisse alla National Union of South Africa Students, movimento studentesco contro l’apartheid. Nel 1970 fon­da il Black Consciousness move­ment («movimento per la coscienza dei neri»), con 70 associazioni. Aveva capito la necessità che la comunità nera arrivasse a concepire e assimila­re una presa di coscienza del proprio valore riappropriandosi di una speci­fica identità senza per questo ricor­rere alla violenza contro i “padroni” bianchi. Nel ’73 il governo lo destina al confino ma le proteste di Biko e compagni non si arrestano, culmi­nando in quello che poi passerà alla storia come il massacro di Soweto (1973) attuato dalla polizia bianca, in cui persero la vita circa mille per­sone, tra cui molti minorenni. Nel settembre 1977 dopo due giorni di torture Biko muore. Non così il suo ricordo: Peter Gabriel dei Genesis gli dedica il brano Biko (1980) e il regista britannico Ri­chard Attenborough il film Cry Freedom (1987). Recentemente è uscito un bel libro di Sara Carbo­ne, Stephen Bantu Biko. Un testa­mento di speranza (Marsilio) che raccoglie i suoi scritti.


Annamaria Gobbato
NP aprile 2024

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