Una guerra dimenticata

Pubblicato il 01-05-2021

di Paolo Lambruschi

Nel Corno d’Africa 300 mila sfollati, a rischio gli aiuti umanitari.

 

Schiaccio il pulsante che riavvolge le immagini impresse nella memoria e ricordo una canzone di quasi 40 anni fa "Do they know It's Christmas" che nel frattempo è diventata un classico. Cantata da diverse star delle musica internazionale doveva finanziare le vittime della carestia in Etiopia e portò poi ad organizzare i concerti di beneficenza di LiveAid. Mi è tornata in mente seguendo gli ultimi sviluppi del conflitto esploso il 4 novembre 2020 nel Tigrai, regione settentrionale etiope dove un blackout comunicativo e telefonico e l'isolamento hanno impedito l'accesso dei media e degli operatori umanitari nascondendo fatti atroci.

 

Il sospetto che nel Tigrai, regione settentrionale dell'Etiopia sia in atto, se non un genocidio qualcosa di terribile ai danni della popolazione, è forte, ma non è possibile provarlo. Possiamo solo pazientemente raccogliere le tessere di un mosaico che raffigura morte, violenza e distruzione. E una crudeltà mai vista nemmeno 40 anni fa, quando la carestia e la fame che commossero il mondo grazie a una canzone – lo scoprimmo poi, me lo raccontarono durante un viaggio nel Tigrai – furono provocate anche dalla siccità, ma soprattutto dalla guerra civile e dal blocco degli aiuti. Morirono un milione di persone. L'accusa fatta oggi dalla diaspora tigrina, molto vivace sui social, è che sia in atto un tentativo di genocidio come quello di 40 anni fa, quando il governo comunista che allora reggeva l'Etiopia, non riuscendo a sconfiggere militarmente i guerriglieri che qualche anno dopo li cacciarono, affamò il popolo. Oggi alla piaga delle locuste che da due anni affliggono il Corno d'Africa si è sommato un nuovo conflitto e il blocco degli aiuti umanitari.

 

Bisogna fermare questa guerra dimenticata che ha causato 300 mila sfollati. Non conosciamo il numero delle vittime e dei feriti nonostante il primo ministro etiope Abiy Ahmed che ha lanciato l'offensiva contro una parte del suo stesso popolo (facendo pentire il comitato che solo pochi mesi fa gli ha assegnato il Nobel per la pace 2019) abbia dichiarato concluse le ostilità il 27 di novembre. Perché invece si continua a combattere in diverse zone della regione e i rapporti delle poche agenzie umanitarie cui è stato concesso di entrare parlano di soli cinque ospedali funzionanti. Perciò mancano medicine, l'acqua potabile, corrente, il cibo. Secondo le Nazioni Unite almeno 2 milioni di cittadini su 6 milioni rischiando morire di fame, ancora una volta urlando nel silenzio. Fino a un anno fa nessuno pensava che si sarebbe arrivati a uno scontro così violento tra un governo federale e uno regionale. Le cronache parlano di chiese distrutte, di massacri della popolazione, di stupri forse perpetrati da entrambe le parti con l'aggiunta a fianco dell'esercito federale di truppe eritree del dittatore Isayas Afewerki, di milizie regionali Amhara e di truppe somale – tutte nemiche giurate dei governanti tigrini – che si sarebbero macchiate di crimini terribili. Ma il condizionale è d'obbligo in questa guerra senza immagini e senza parole, combattuta soprattutto sui social mentre sul terreno rischia di uccidere migliaia di persone.

 

Ora possiamo ancora una volta capire dove portano i nazionalismi etnici aizzati dai politici. E l'errore di quella Costituzione voluta dagli stessi tigrini quando guidavano il Paese sul modello jugoslavo che consente a ogni regione di avere proprie milizie. La storia tragica che abbiamo visto nei Balcani negli anni 90 si sta così ripetendo nel Corno d'Africa al quale ci lega non solo la storia coloniale, ma anche tanti rapporti di amicizia e solidarietà costruiti negli anni da missionari, dalle Ong e da tante persone di buona volontà. L'unica possibilità è che ora le armi vengano fatte tacere dall'Onu e dalla nuova amministrazione americana lasciando spazio a chi aiuta e a chi deve raccontare cosa è veramente accaduto. Per evitare di tornare indietro di 40 anni.

 

Paolo Lambruschi

NP febbraio 2021

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