Una luce molte ombre

Pubblicato il 22-06-2024

di Luca Jahier

Il Parlamento Europeo ha approvato il nuovo Patto su migrazione e asilo, composto da dieci misure e non è stato un bello spettacolo.
Le reazioni sono state molto diverse, da un trionfalismo da scelta storica a condanne senza appello.

Questo Patto fu annunciato come un intervento cardine all’inizio della legislatura, per cercare di trovare una soluzione condivisa su una materia complessa e divisiva, su cui l’Europa si era lacerata ai tempi delle crisi libica e siriana, con Stati che rifiutarono gli ingressi, innalzarono muri, chiusero frontiere, con due referendum contro Bruxelles.
Scrivendo una pagina buia dell’Europa, con ondate di xenofobia e antieuropee in diversi Stati membri, Italia compresa. Pur tra molte difficoltà e mediazioni, la Commissione europea presentò un ampio articolato a fine 2020 e poi il Parlamento si espresse con posizioni critiche e migliorative su molti aspetti, ma i governi hanno tenuto in stallo per tre anni il negoziato, spingendolo verso questo esito. Il Patto approvato non abolisce le regole di Dublino, come si era auspicato, ma le tempera sotto tre profili.

Primo: uniforma le procedure di valutazione alle frontiere esterne dell’Unione e le rende più veloci.
Secondo: crea un sistema parziale di condivisione degli irregolari tra gli Stati di ingresso e gli altri.
Terzo: spinge per partenariati con Paesi terzi, per facilitare i rimpatri di coloro che non hanno titolo a entrare in Europa. Dopo dieci anni abbiamo almeno i primi timidi passi di sovranità condivisa.

Tuttavia questo Patto è ben lontano dalla promessa iniziale di voler svoltare, tutelando la dignità di ciascun migrante, salvando vite in mare e fornendo una solida solidarietà ai Paesi di primo ingresso sotto pressione (quelli del Mediterraneo per intenderci), Le cosiddette nuove procedure di frontiera di fatto replicano il sistema delle isole di confinamento della Grecia, una selezione molto discutibile tra i migranti che possono avere più probabilità di ottenere la protezione internazionale e tutti gli altri. I secondi vengono rinchiusi in centri fortezza, in attesa del rimpatrio, senza possibilità di ricorso.
Inoltre, molti ritengono le nuove procedure lesive dei diritti delle famiglie con minori, gravi i rischi di profilazione razziale e tali norme possono persino diventare la sepoltura del diritto di asilo così come l’Europa lo ha applicato negli ultimi 80 anni. Senza contare che, in cambio di una limitata solidarietà tra Paesi ue, da verificare, tutto il carico viene lasciato sulle spalle dei Paesi del Mediterraneo, anche per i cosiddetti movimenti secondari. Nel frattempo, molti esultano perché avrebbe vinto il “modello Rwanda”, che l’Italia ha già replicato con l’Albania, cioè di esportare fuori Europa i centri di selezione e confinamento.

Le regole di Dublino erano preistoria, come disse spesso Mattarella, e avremmo dovuto uscire da una logica di sola protezione dei confini per affrontare una sfida epocale, che vede già oggi oltre 100 milioni di persone nel mondo che lasciano il proprio Paese e, in previsione, se ne attendono nei prossimi anni fino a 400 milioni, per guerre e cambiamento climatico. Ricordando che il vero pull factor è legato alle nostre società che invecchiano rapidamente e avranno bisogno di forza lavoro imponente, visto che solo il nostro Paese è destinato a perdere 15 milioni di abitanti entro il 2050. Non solo temo che non funzioni quanto deciso, ma l’Europa rischia di perdere la sua anima di compassione ragionata, la stessa che ha applicato nel caso dei milioni di Ucraini che sono fuggiti dalla guerra e per i quali è stata attivata per la prima volta la clausola di protezione temporanea, che ha permesso loro di essere accolti, curati, alloggiati e avere un lavoro, senza creare rigetto nei nostri Paesi.

Siamo dunque ancora ben lungi dall’aver trovato quella «indispensabile e urgentissima soluzione strutturale di lungo periodo» cui ci ha invitato Mattarella e che avremmo voluto.
 

Luca Jahier
NP maggio 2024

 

 

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