VIETNAM - Ha Noi: vita e morte figlie di un Dio minore

Pubblicato il 31-08-2009

di sandro



 Mi trovo inaspettatamente ad Ha Noi. Mia moglie Cristina ed io abbiamo scelto di in-camminarci sulla strada di una nuova avventura del cuore: adottare un bambino stra-niero. Lunghi mesi per l'autorizzazione del Tribunale, poi la formazione e il percorso di avvicinamento all'adozione.
...Stefano Bernardi

 A gennaio arriva l'abbinamento: è una bimba dal nome splendido, Thi Hong, nata proprio il giorno di Natale del 2002. Poi tutto si accelera, e mi trovo in albergo ad Ha Noi a fare il ragazzo padre con uno scricciolo di due mesi e mezzo, un po' debilitata da una recente varicella, tra commozione e gioia.
Il giorno dopo ci rechiamo all'Ospedale Francese della capitale per un ciclo d'analisi opportune per bimbi dal quadro clinico non sempre completamente noto. E qui la vita e la morte s'incrociano. In una camera del piccolo ospedale, proprio in quei giorni è ri-coverato un medico americano. Sta male, molto. È arrivato pochi giorni prima dalla Cina ed è stato ricoverato affetto da una polmonite che non si riesce a curare.
Al peggiorare delle condizioni viene trasferito nel più attrezzato ospedale di Hong Kong dove morirà dopo due giorni. In quegli stessi due giorni, nello stesso ospedale 57 tra medici ed infermieri vengono infettati, molti versano in condizioni gravi e, ad oggi, due in-fermiere e un medico sono già morti.

Il primo segnale di qualcosa di strano ci arriva in albergo,
quando due giorni dopo, su indicazione dell'ambasciata italiana ad Ha Noi, ci comunicano che l'ospedale è stato chiuso "non si sa ancora perché". Poi la notizia balza alla ribalta mondiale, subito offu-scata da quelle della guerra oramai esplosa in Iraq.
Le cronache parlano di "polmonite killer" e si paventa una "emergenza sanitaria mon-diale"; aleggia il fantasma della pandemia, il ricordo della terribile "spagnola" del 1918. Gli occidentali fuggono. I ristoranti si svuotano e compaiono le mascherine a coprire la bocca e il naso della gente per le strade.
Io resto qui, con Thi Hong. Dicono che il massimo dell'incubazione della polmonite sia di nove giorni, così oggi, che di giorni ne sono trascorsi dodici dalle visite all'ospedale francese, tiro un sospiro di sollievo. Strana condizione questa, tra la gioia della vita nuova che stringo tra le braccia e la morte che abbraccia silenziosa decine di persone ammalate di un malattia strana e feroce. Strano anche come in queste situazioni, a ben vedere e a ben ascoltare, non tutte le vite appaiono uguali: come appare diversa la morte di un medico americano che scatena il panico mondiale, e le morti silenziose e lontane dalle cronache per la medesima malattia di centinaia di contadini dalla pro-vincia cinese di Huandong.
Già perché questa malattia è presente in queste regioni ormai da alcuni mesi. Qui, in silenzio, l'epidemia miete già da tempo le sue vittime: vittime meno interessanti, me-no da prima pagina. Fa clamore un ospedale francese che viene chiuso; non sono inte-ressanti molti altri ospedali vietnamiti che non vengono chiusi perché non si saprebbe dove mandare i malati. Finisce in prima pagina la "quarantena" di dodici ore di qual-che turista a Francoforte; non interessa molto l'emergenza che ha reso necessaria una campagna di sensibilizzazione a tappeto in tutte le scuole di Ha Noi. "È un mese che per prudenza non mando mio figlio a scuola", mi confida un medico pediatra vietnami-ta.
Scrivo queste poche righe nella mia camera d'albergo con a fianco mia figlia, Thi Hong, che dorme così bella da far male, e con la CNN che dalla televisione mi mostra lo spettacolo della guerra. Rifletto come la vita e la morte si sfiorino e s'intreccino in un gioco senza fine. Tutte vite figlie di Dio. Ma viste da qui, alcune di quelle vite, e quelle morti, sembrano figlie di un Dio minore.
Stefano Bernardi







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