Volontari oltre le sbarre

Pubblicato il 31-08-2009

di bruno


Fare volontariato all’interno di un istituto penitenziario e non solo… La redazione de “La Gazzetta Dentro” dialoga con un giovane volontario. Utile leggere cosa si dicono!


a cura de "La Gazzetta Dentro"


Parlaci di te…
Mi chiamo Cesare Bolla, ho 27 anni e sono di Mongardino, un paese della provincia di Asti. Di professione sono medico, specializzando in malattie infettive. Ho iniziato a fare volontariato all’età di 13 anni, mi dedicavo ad un servizio particolare, ovvero ai cani di un canile, ma da allora è stato un proseguo di esperienze, fino ad arrivare oggi al volontariato in carcere.
Rispetto al volontariato in carcere, qual è il tuo intento?
Entrando in carcere mi sembra di portare vita all’interno, nel senso che le trasformazioni, i problemi, i sentimenti… della vita all’esterno entrano con me nell’istituto e si introducono attraverso il dialogo con chi sta all’interno, un dialogo che diventa a poco a poco rapporto umano, una naturale vicinanza solidale che si crea tra me e le persone detenute.

Possiamo dire che il volontariato “supplisce” ai disservizi della società: non credi che appoggiandosi alla buona volontà di tanti si rischia di non risolvere mai le problematiche che quelli come te affrontano?
D’accordo sul fatto che il volontariato supplisce ai disservizi della società, ma il mio carattere di uomo pratico mi porta a darmi da fare senza aspettare che chi dovrebbe fare faccia ciò che deve. Il nostro intervento come volontari fa sì che spesso si risolvano delle situazioni che richiederebbero altrimenti tempi molto lunghi, e questo dà speranza!

Qual è la ragione che ti spinge ad aiutare il prossimo?
Grazie per la domanda… Sicuramente è la fede in Dio. Quando ho iniziato a fare volontariato avevo una “fede minore” poi le esperienze mi hanno portato ad accrescerla. Mi ripeto spesso quel passo del Vangelo che dice: “…avevo sete e mi avete dato da bere”, questa è stata una motivazione non solo per la mia attività di volontario, ma per la mia esistenza.
La tua professione di medico ti dà già la possibilità di aiutare i più deboli, perché anche l’attenzione verso il mondo carcerario?
Penso che fare il medico voglia dire non solo curare il corpo, oltre a questo per me è fondamentale saper ascoltare, saper stare con le persone, anche quando sono in ospedale. All’interno del carcere, a noi volontari non è richiesto né di risolvere grossi problemi né di dare delle risposte, ma soprattutto di ascoltare. Penso quindi che l’attenzione verso il mondo carcerario sia una naturale estensione: in ogni caso, alla base del mio operato, prima di ogni cosa, c’è l’ascolto.

Sappiamo che hai fatto esperienza di volontariato anche in Africa, in Nigeria… Cos’hai trovato?
Sono andato in Nigeria in una missione dei Padri Giuseppini per seguire un progetto sull’infezione da HIV. Al di là di questo e delle parole che si possono dire riguardo la povertà e le condizioni di vita, ciò che mi ha di più colpito è stata l’ospitalità delle persone che ho incontrato, che raramente vedo in Italia: ho trovato persone che pur senza conoscermi mi hanno trattato come un figlio, persone che non avendo i soldi per pagare le visite mediche mi hanno regalato qualcosa, persone gioiose se pur la situazione in cui vivono è tutt’altro che serena.

Cosa hai portato con te?
Penso di avere dentro di me una carica ancora più grande nel fare ciò che sto facendo. Ho voglia di ritornare per continuare ciò che abbiamo iniziato, ma anche di far conoscere questo posto, far conoscere in Italia com’è la situazione in Nigeria. È bello conoscere, sapere anche che ci sono persone che vivono in una maniera diversa dalla mia, che sono magari felici col poco che hanno: diventa uno scambio, non solo carità.

Cos’hai sperimentato di diverso tra il volontariato in carcere e quello all’esterno di questa realtà?
Le grosse differenze sono due: una negativa e una positiva. Quella negativa è che qui devi imparare a capire chi dice la verità e chi ti racconta un sacco di bugie, chi ti vuole fregare e chi invece è sincero con te, aspetto che in altri tipi di volontariato non ho sperimentato. Quella positiva è che qui riesci comunque ad instaurare un rapporto molto più profondo con le persone.

Qual è stata la tua sensazione la prima volta che sei entrato in carcere, che impatto hai avuto?
La prima volta che sono entrato in carcere mi sono sentito spaesato, perché entravo in un mondo che ho sempre considerato parallelo rispetto a quello reale, si trattava di venire in contatto con una realtà nuova che non conoscevo; mi sono trovato catapultato in mezzo a persone che non avevo mai visto; ma la cosa che mi ha sollecitato di più è stata la prima volta che sentii il rumore delle porte che si chiudono e quello delle grosse chiavi che si usano ogni qual volta si entra e si esce. Oggi, a distanza di tre anni, non ci faccio quasi più caso, ma la prima volta è stato impressionante.

Da quando sei venuto a contatto con l’istituto, come vivi la tua quotidianità all’esterno?
Dopo un po’ di ore che sono qui dentro mi sembra che manchi l’aria. Spesso cerco di immedesimarmi in chi è costretto a vivere in carcere. Credo sia ancora più difficile di quanto si possa immaginare! Due cose mi fanno impressione e mi trasmettono una triste sensazione: quando dico a qualcuno dei ragazzi “adesso vado a casa”, perché mi rendo conto che loro non possono farlo, e poi quella strana sensazione che provo quando salgo in macchina e penso: “sto mettendo in moto la mia macchina per andare a casa mia” ed è duro pensare a chi non può fare lo stesso… Queste sensazioni le provo tutte le volte che esco dall’istituto.

Sicuramente avrai potuto notare un’evoluzione del volontariato penitenziario, quali sono le tue impressioni?
In tre anni grosse evoluzioni non c’è ne sono state, però il fatto che ci si possa parlare così tra detenuti e liberi, che una redazione di persone detenute possa collaborare con dei giornali esterni, studiare all’interno del carcere ecc… penso sia una grossa conquista che la forza di volontà di persone come Tecla (volontaria e fondatrice dell’associazione di volontariato Effatà - ndr) hanno reso possibile! Tenere costantemente dei contatti col il mondo esterno evita alle persone recluse di alienarsi ed estraniarsi completamente dal mondo reale. Non so se in altri carceri sia meglio o peggio… personalmente conosco la realtà di Asti e stando a quello che mi dice Tecla, negli anni le cose sono migliorate, vuoi per l’azione di Effatà, vuoi per la volontà del Direttore o per quella dei detenuti stessi.
Riallacciandomi alle prime domande dico che nel momento in cui ci sono delle mancanze della società ecco che il volontariato gioca un ruolo fondamentale, anche i detenuti possono colmare queste lacune! Grazie a voi detenuti e grazie al volontariato che è stato messo in piedi, qualcosa oggi è vivo, poi non è sicuro che tra dieci anni ci sarà ancora la Gazzetta Dentro, che ci sarà ancora la scuola, magari non ci sarà più nulla. Oggi le persone che operano e “vivono” qui sono riuscite a costruire qualcosa di molto positivo.

A distanza di più dieci anni di volontariato, puoi tracciare un bilancio…
Ho iniziato a fare volontariato molto giovane. Mi rendo conto che crescendo ho cambiato spesso tipo di servizio, forse in un modo sempre più impegnativo: prima mi impegnavo poche ore la settimana ed era un tipo di volontariato che non mi occupava oltre. Oggi invece penso che il volontariato stia diventando per me uno stile di vita.
Il bilancio è dunque positivo, nel senso che ricevo molto da quello che sto facendo, sia qui in carcere che all’esterno. Sono cresciuto mettendomi sempre più in gioco. Ho scoperto dei lati di me che ho sempre tenuto nascosti e di cui mi vergognavo, ma grazie a questo ho imparato a conoscermi meglio, e anche questo è positivo.

"La Gazzetta Dentro"
N.D.R.
Ricordiamo ai lettori che gli amici de “La Gazzetta Dentro” - che il Sermig ha conosciuto in occasione del II Appuntamento Mondiale dei Giovani della Pace di Asti – collaborano anche con il mensile Nuovo Progetto e hanno pubblicato un libro (raccolta di poesie scritte dai detenuti) intitolato “Segnali di vita dal pianeta Sedna” disponibile all’Arsenale della Pace (le offerte ricavate saranno destinate al progetto “Salviamo almeno centomila bambini” come richiestoci dagli stessi autori).

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok