Sulle onde dell'educazione

Pubblicato il 31-05-2021

di Simone Bernardi

 

«Da queste parti è stato sempre nor­male vivere senza energia elettrica, senz'acqua né fognatura e nemmeno la raccolta dell'immondizia». Per Luiz Alberto, studente delle superiori che vive in uno degli immensi distretti pe­riferici di San Paolo, studiare in tem­po di pandemia ha voluto dire non tanto misurarsi con lezioni in strea­ming o esami da remoto, ma piuttosto il fatto che con i portoni chiusi della sua scuola si sarebbe perso l'accesso ai pasti scolastici, per lui e per i suoi fratelli. Cosa che è passata subito nella mente di milioni di alunni – e delle loro famiglie – che andavano a scuola pensando prima di tutto a questo.

All'Arsenale della Speranza, durante una "Live del Martedì" abbiamo in­tervistato Luana Resier, coordinatrice pedagogica di una Scuola Statale del quartiere Vila Industrial, zona Est di San Paolo.

Come avete reagito alla nuova situazione?

Sapevamo che molti dei nostri alunni non hanno nemmeno una TV, figuriamoci un cellulare o un computer. La scarsa partecipazione alle piattaforme digitali – messe len­tamente in piedi dal Governo –, non lasciava dubbi sul fatto che una parte molto grande dei nostri studenti sa­rebbe rimasta esclusa. Non sapevamo come fare! Abbiamo iniziato a pensare a come raggiungerli, con quali canali di comunicazione. Con due colleghi, anch'essi coordinatori, ci è venuto in mente che vicino alle nostre scuole c'è una radio comunitaria. Siamo andati a parlare con il direttore che ha subito accolto le nostre esigenze e ci ha concesso un orario. Ci siamo messi al lavoro, abbiamo pensato, prodotto, registrato e montato materiale. Ogni giorno, per un mese, siamo usciti con un programma che abbiamo chiamato "Sulle onde dell'educazione".

Perché proprio la radio?

Perché tra tutti i mezzi disponibili, la radio è il più accessibile. Una radio piccola, semplice la si compra per poco e oltretutto non era così improbabile che varie famiglie ne avessero anche più di una in casa. E poi è molto più facile chiedere una donazione di radio che di computer. Ne abbiamo raccolte un buon numero che abbiamo poi distribuito a tante famiglie che non avevano altri canali di comunicazione e di interazione con la scuola.

Qual è stata la maggior difficoltà di far lezione in radio?

Non abbiamo mai avuto intenzione di insegnare alla radio. L'idea era di parlare diretta­mente agli studenti. La nostra più grande preoccupazione, all'inizio, non era se gli alunni stessero imparando bene gli avverbi, ma di come stavano quegli studenti che se la passavano peggio, di quello che all'inizio dell'an­no si tagliava e l'unico posto in cui poteva parlarne con qualcuno era proprio la scuola... Per prima cosa volevamo lanciare il messaggio che non erano soli. Poi abbiamo iniziato ad invitare una psicologa per par­lare direttamente a loro e, di tanto in tanto, inserivamo un argomento del programma di storia o di geo­grafia, possibilmente qualcosa che tutti potessero facilmente capire, per rinforzare l'autostima. La distanza ha bruscamente interrotto un rapporto di fiducia tra gli studenti e la scuola che si stava costruendo da tempo.

Con il tempo, che formato ha preso il programma?

Ora il format è costruito in base alle risposte che abbiamo avuto nel primo mese in onda. Ci sono rubriche che si occupa­no del mondo del lavoro, degli aspetti socio-emotivi, io realizzo una rubrica in cui professori e studenti parlano di memorie affettive legate alla scuola e ai diversi contenuti. E c'è anche uno spazio in cui parliamo con persone del mondo del lavoro e della cultu­ra: la settimana scorsa, per esempio, abbiamo ospitato un famoso fumet­tista del giornale "Folha de S. Paulo" che è nato e cresciuto in queste zone. È stata una testimonianza molto ricca che, probabilmente, non avremmo nemmeno mai inserito all'interno dei nostri programmi tradizionali. E così stiamo aumentando la portata del progetto fino ad arrivare, adesso, alla partecipazione diretta dei nostri studenti che ci chiedono anche di registrare alcune testimonianze su come stanno. Oltre ad avere spazio per parlare di quello che pensano, raccontano anche quello che stanno facendo, che può ispirare e motivare tanti altri. La risposta di studenti, genitori e inse­gnanti è sorprendente.

Come vi sentite dopo nove mesi di quest'esperienza?

Credo che non stiamo facendo beneficenza e nemme­no nulla di straordinario. Me lo ripeto sempre: è diritto di ogni studente ave­re un'istruzione di qualità e la difficile situazione in cui siamo immersi oggi ci dice una cosa in più: non basta of­frire un'istruzione di qualità, bisogna sempre cercare il modo di offrire agli studenti le condizioni, seppur mini­me, per usufruirne. Grazie!

NP Febbraio 2021

Simone Bernardi

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