Chi sta con chi

Pubblicato il 07-08-2023

di Paolo Lambruschi

La guerra civile in Sudan e la sua rilevanza internazionale. Intanto a farne le spese sono la popolazione e i profughi.

Il Sudan, oltre che per le miniere d'oro, è importante strategicamente perché controlla l'accesso al canale di Suez, quindi una delle rotte commerciali più floride. Attorno ai due contendenti si è quindi formato un mosaico di alleanze a volte inedite e contraddittorie

Proviamo a mettere un po' d'ordine nel caos scoppiato in Sudan. C'è un conflitto violentissimo tra due signori della guerra, con i quali, però, si sono schierate potenze internazionali e locali alimentando una tensione potenzialmente esplosiva per il nord e il Corno d'Africa.

Questa è una delle aree più instabili del pianeta. Il Sudan è conteso da due generali: il capo dell'esercito Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio Militare Sovrano di Transizione, e il suo omologo e vicepresidente dello stesso Consiglio, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, uno dei cinque uomini più ricchi del Paese, capo delle forze intervento rapide, arabi che negli anni 2000 razziarono, stuprarono la popolazione del Darfur mettendo la regione a ferro e fuoco con il nome di Janjaweed, i diavoli. I due hanno costruito la loro carriera all’ombra del dittatore e altro generale Omar al-Ba-shir, che era salito al potere con un golpe appoggiato dagli islamisti nel 1989, è stato condannato dalla corte penale internazionale e nel 2019 è stato rovesciato dai suoi ex delfini.

L'esercito controlla diverse attività economiche e commerciali mentre le forze di supporto rapido, i paramilitari di Hemetti, oltre a prendersi i soldi dell'UE per il controllo delle frontiere, vendono mercenari in Libia, Yemen e Ciad e controllano l’oro delle miniere del Darfur che viene estratto e portato in Russia dai mercenari russi della Wagner, primi sostenitori di Hemetti che comanderebbe centomila uomini. Da tempo al-Burhan e Dagalo dovevano, su richiesta della comunità internazionale, fondersi in un unico esercito e cedere il potere politico ed economico a un governo civile per completare la transizione verso la democrazia. I due, ovviamente, non hanno nessuna intenzione di abdicare e hanno ingaggiato sulla pelle della popolazione civile una lotta senza esclusione di colpi.

Il Sudan, oltre che per le miniere d'oro, è importante strategicamente perché controlla l'accesso al canale di Suez, quindi una delle rotte commerciali più floride. Attorno ai due contendenti si è quindi formato un mosaico di alleanze a volte inedite e contraddittorie.

Oltre ai russi, i sostenitori di Dagalo sono gli Emirati Arabi e l'Arabia Saudita, per sostenere i quali Dagalo negli anni scorsi ha anche inviato un contingente dei suoi uomini in Yemen. E la Cina, la cui penetrazione in Africa è iniziata qui. Da Port Sudan, sul Mar Rosso, parte ad esempio il petrolio comprato dai cinesi, molte attività commerciali ed economiche nella capitale costruita sui due Nilo (bianco e azzurro) sono controllate da Pechino. Con Dagalo si è schierato infine il rais della Libia orientale, il generale Haftar. Con il presidente provvisorio stanno gli Usa e Israele, che stavano trattando per normalizzare le relazioni e annullare le concessioni fatte dal Sudan senza il benestare americano. Ma con il presidente combattono anche gli islamisti di Bashir, un tempo amici di Bin Laden tanto da ospitarlo.

E c'è l'Egitto, che con al-Burhan aveva costruito un'alleanza contro l'Etiopia in nome della comune ostilità verso la grande diga sul Nilo costruita da Addis Abeba per aumentare l'approvvigionamento energetico, anche se rischia di mettere in crisi l'irrigazione nei campi degli altri due Paesi. L'Egitto in Libia sta con Haftar, i russi della Wagner e gli Emirati. Qui il quadro si ribalta. Vi è venuto il mal di testa? Allora sappiate che l'Italia, come ha rivelato ad agosto Africa Express, ha addestrato gli ex janjaweed per fare le guardie di frontiera e fermare i migranti verso la Libia, cioè gli alleati di Putin.  Mentre dalla parte dei sudanesi, che volevano democrazia e sviluppo e si trovano a scappare in massa dalla guerra, e dalla parte dei profughi – bloccati nel Paese in fiamme – ovviamente non si è schierato nessuno.

Paolo Lambruschi

NP Maggio 2023

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