Dopo la notte

Pubblicato il 08-07-2022

di Gabriella Delpero

La Commissione Bilancio della Camera il 16 febbraio scorso ha preso in esame il cosiddetto “Bonus Psicologo”, un contributo economico (pari a 600 euro di importo a persona, erogabile nel rispetto di specifici requisiti e fruibile solo quando sarà emanato un apposito decreto attuativo), destinato ad aiutare i cittadini in difficoltà a far fronte alle spese per cure psicoterapeutiche.

Nel testo viene infatti riconosciuto chiaramente l’attuale aumento “delle condizioni di depressione, ansia, stress e fragilità psicologica causato dalla pandemia e dalla crisi socio-economica”. E siccome gli effetti catastrofici della pandemia sono stati collettivi, globali – non hanno cioè risparmiato nessuno – il bonus dovrebbe essere messo a disposizione di persone di ogni età, quindi anche di bambini e ragazzi.

Si tratta di una buona notizia: innanzitutto perché almeno riconosce a livello ufficiale l’esistenza di un malessere concreto e a tutti noi ben visibile nella comune vita quotidiana, e poi perché sembrerebbe porre le premesse per tentare di riempire un vuoto terapeutico che non può arrendersi al nulla. Speriamo. Superata la fase più acuta dell’emergenza, infatti, sorge il problema della percezione di una chiusura del futuro e della mancanza di speranza.

Troppi ragazzini e adolescenti oggi si pensano e vivono da “fermi”, sono come bloccati e chiusi nel loro piccolo mondo, appiattiti sul presente e senza una prospettiva futura che arrivi almeno a una settimana. E soprattutto molti hanno smarrito qualsiasi idea di appartenenza a una comunità, né sembrano più in grado di condividere i propri desideri o problemi con altri.
Al loro orizzonte si profila spesso una tendenza all’individualismo esasperato, in cui i pensieri si avvolgono su se stessi e ruotano senza fine intorno alla propria debolezza senza intravvedere una via d’uscita, come una mosca che continua a sbattere contro un vetro senza trovare una fessura che le restituisca la libertà.

E purtroppo l’individualismo sovente va di pari passo con la perdita d’identità. Eppure l’unico destino possibile dopo un trauma violento come quello di una pandemia non è certo solo la disgregazione prodotta da un’angoscia incontrollabile. Al contrario, si possono aprire squarci su scenari decisamente diversi.
I traumi, le sconfitte, le difficoltà, quando vengono superate e sapientemente rielaborate, possono infatti lasciar comparire orizzonti luminosi e promettenti.

Albert Einstein sosteneva che: «La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura». Certo non è un passaggio facile, ma porta con sé la possibilità di una trasformazione, di un cambiamento.
Ben venga, quindi, la consapevolezza (e la ferma decisione, si spera!) che è fondamentale e urgente impiegare molte energie e risorse economiche, professionali e umane per curare anche sul piano psicologico il maggior numero di persone possibile. È una sfida.

Una ragazza di sedici anni, figlia unica di una coppia separata ormai da qualche anno, è stata dimessa alcuni giorni fa dopo un lungo ricovero ospedaliero dovuto a un episodio depressivo in cui ha più volte minacciato il suicidio.

Raccontando la sua esperienza in ospedale, parla del rapporto “speciale” che è riuscita a creare con la sua terapeuta e cita spesso le parole e i gesti delle altre adolescenti ricoverate nello stesso reparto. Con loro ha stretto legami che esita a chiamare di “amicizia”, ma che l’hanno fatta sentire parte di un tutto.

Ascoltando le confidenze e lasciandosi toccare dalla tristezza delle altre, dai loro sentimenti più scomodi, dai loro vissuti difficili, ha scoperto di non essere sola, ha imparato a non fuggire più dalla propria sofferenza, a uscire dal proprio recinto e ad affacciarsi sul mondo. Non ci si salva mai da soli.


Gabriella Delpero
NP marzo 2022

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