Mica male, no?

Pubblicato il 12-05-2016

di Paolo Maggioni

di Paolo Maggioni - Era la chiesa del Sermig, ma sembrava di stare al Planetario, con quel soffitto bianco a lucine intermittenti e la prima astronauta italiana, Samantha Cristoforetti, a raccontare dal palco i suoi sei mesi nello spazio. Quanta bellezza. Non faccio parte della folta schiera di quelli che da bambino volevano fare l’astronauta – ho sempre avuto paura di volare, e spesso, anche della mia ombra – ma proprio per questo avrei avuto molte curiosità da soddisfare.

Eccone alcune: Quando c’è un problema a bordo si fa davvero un numero di Houston e si annuncia con tono grave “Houston, abbiamo un problema!”?
È davvero possibile resistere sei mesi interi senza apericena?
È blasfemo, da lassù, cercare come primo punto di riferimento lo stadio di San Siro? (Piazzale Angelo Moratti 1, Milano).
La vera ragione scientifica del viaggio era testare la reazione dell’essere umano privato per sei mesi di Whatsapp?
Alla fine del viaggio, la tutona te la lasciano portare a casa o va restituita, come al militare?
Tornando a casa dallo spazio, si disfa il trolley spaziale? In caso affermativo, può imbarcare più di venti chili? In caso contrario, c’è uno shuttle low-cost che chiude un occhio?

Tutti interrogativi fondamentali ma destinati, ahimè, a non avere risposta. Però che brava, Cristoforetti, al Sermig! La nostra astronauta ha mostrato una dote rara: una bella empatia, frutto forse della tranquillità ritrovata – che stress dev’essere, preparare una missione spaziale! – ad un anno dal ritorno, a tutti gli effetti, con i piedi per terra. A fare le domande serie ci hanno pensato i ragazzi del Sermig, per fortuna. La più bella, senza dubbio, quella di Rebecca: “Come sono le guerre, i muri, i confini, le disuguaglianze, viste da là in cima?”.

Cristoforetti ha risposto con un esempio azzeccatissimo, anche se l’incipit potrebbe sembrare quello di una barzelletta: “Sulla stazione eravamo sei, italiani, russi, americani. Per il nostro stare bene, ma anche per la nostra sicurezza, una delle cose più importanti è lavorare bene insieme, andare d’accordo, collaborare. Da quella prospettiva guardi la terra e ci pensi spesso: è difficile, siamo sette miliardi e non solamente sei persone, ma l’unico modo che abbiamo di sopravvivere qui sulla terra è applicare la stessa filosofia, sentirsi parte dello stesso equipaggio”. Mica male, no?

 

 

 

Rubrica di Nuovo Progetto

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