L'acqua dà i numeri

Pubblicato il 14-09-2017

di Carlo Degiacomi

Di Carlo Degiacomi - La gestione del bene più prezioso: un tema complesso, gli slogan non servono.

Nel 2011 il referendum sull’acqua ha raggiunto il quorum su un tema di vita quotidiana e insieme di interesse generale. L'Onu con la risoluzione dell'Assemblea Generale del 28 luglio 2010 ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale. Il referendum lo ha ribadito in linea con l'orientamento europeo. Bisogna ricordare che una parte dei votanti ha espresso il proprio parere perché l’acqua costi poco e la gestione rimanga in piccoli ambiti locali, ma non era questo il senso del referendum. Nonostante la crisi e le difficoltà di molte famiglie, sarebbe un magro obiettivo se la gestione dell’acqua fosse semplicemente indirizzata a mantenere bassi i suoi costi.

UNA VISIONE PIÙ AMPIA

L’esito del referendum ha aperto il tema della privatizzazione dei servizi pubblici (vero oggetto della discussione), ma pone anche una visione più larga e strategica. La gestione dell’acqua nel mondo e in Italia è legata ad un ciclo idrico che va esaminato nei diversi aspetti. Bisogna parlarne e trovare soluzioni innovative. Occorre pensare sia all’acqua potabile che ci arriva in casa, sia all’acqua sporca che esce dalle nostre case. Il primo grande problema è capire chi e come gestisce le reti, in quale misura sono efficienti, disponibili o indisponibili a causa di perdite, scarsa qualità, mancate depurazioni che possono alterare il buono stato dei sistemi acquatici.

L’USO AGRICOLO

È IL PRIMO PROBLEMA


La metà circa dell’uso dell’acqua è agricolo (ma alcuni dati dicono che è il 70%), il 25/30% è industriale, solo 1/5 del totale è per usi civili. Se si ritiene importante passare a tariffe diverse in agricoltura e incentivare nuove tecniche per non sprecare l’acqua (ad esempio il goccia a goccia rispetto al canale dell’acqua immesso nel campo, la coltivazione di alcuni prodotti al posto di altri, la gestione delle irrigazioni con l'informatica e, in certi periodi di vera necessità, il monitoraggio dei consumi per tipo di azienda, la flessibilità nell’erogazione...) si tratta di essere disponibili a pagare un po’ di più i prodotti agricoli e limitare la cementificazione del suolo a favore di usi agricoli.

TANTA ACQUA,

MA ANCHE TANTI PROBLEMI

Il Nord consuma il 66% dell’acqua, il Sud circa il 15%, il Centro il 10%, le isole l’8,5%.

Un dato interessante è la quantità di acqua (teorica) che deriva dalle precipitazioni (esclusa l’evaporazione): 168 miliardi di metri cubi. Di questi 155 defluiscono sulla superficie del suolo e 13 vanno a costituire le risorse sotterranee.

Siamo tra i Paesi che hanno più acqua: 2.800 metri cubi per cittadino.

Quanto è l’acqua effettivamente disponibile? 52 miliardi circa di metri cubi di cui 40 attraverso corsi superficiali (con invasi e altre strutture in grado di regolarizzare i flussi) e 12 in risorse sotterranee: 400 metri cubi annui procapite.

Ma la grande abbondanza non evita problemi ad esempio nei mesi più caldi dell’anno, in inverno quando vi sono scarse precipitazioni nevose, nei periodi di secca nel caso in cui siano molti i fiumi con un carico inquinante eccessivo.

Ci sono situazioni in Italia a causa di contaminazioni naturali o dell'uomo per cui sono ancora 12 le Regioni che hanno chiesto deroghe temporanee (eppure non dovrebbero avere più di tre anni di durata) per realtà che coinvolgono nel complesso quasi 500.000 abitanti.

ANZITUTTO LE RETI

in Italia, la depurazione (che è finanziata con le bollette dell’acqua) riguarda solo il 70% circa della popolazione. Inoltre 9 milioni di abitanti, il 15% circa, non è servito dalla rete fognaria. La dispersione nelle reti di captazione e di distribuzione sembra essere aumentata dal 1999 al 2008 dal 27% al 39%. È quindi evidente la necessità urgente di intervenire nel settore idrico rinnovando le reti e completando le infrastrutture di depurazione per raggiungere gli obiettivi posti anche all’Italia dalla direttiva comunitaria 2000/60.

È possibile nei consumi civili (anche se si tratta solo del 20% dei consumi) sviluppare sanitari a basso consumo, usare frangiflusso nei rubinetti, recuperare le acque depurate con riciclo in agricoltura, diffondere il riuso dell’acqua di pioggia in abitazioni singole e collettive. Sono solo alcuni esempi.

Vi sono anche proposte interessanti, ma più complesse da attuare: i tetti verdi, la differenziazione delle acque di scarico, in particolare la raccolta differenziata delle urine per recupero di sostanza organica e nutrienti. Le urine contengono l’80% dell’azoto e il 45% del fosforo presente nelle acque di scarico. Nel Nord Europa sono già in produzione sanitari in grado di separare le urine.

AZIONI IN CITTÀ

In Germania le acque provenienti da docce e lavabi sono raccolte, trattate e inviate, tramite una pompa, ai punti di riutilizzo; in genere gli scarichi di wc, lavatrici e alcuni rubinetti di acqua non potabile sono destinati al lavaggio di pavimenti e spazi esterni, all’irrigazione di giardini... La legge italiana permette il riuso di acque depurate all’interno degli edifici solo per alimentare le cassette dei gabinetti; sono invece consentiti tutti gli usi esterni non potabili (irrigazione aiuole, lavaggi...).

Altre azioni percorribili riguardano le superfici urbane (ad esempio le strade) che possono essere costruite in modo da assorbire maggiore quantità di acqua possibile, invece di essere impermeabilizzate. Ad esempio le aree parcheggio drenanti, non pavimentate con asfalto; i canali filtranti, una meno conosciuta tecnica di realizzare le scoline a bordo strada che permette di immagazzinare le acque di pioggia per un po’ di tempo in un letto di materiale poroso, con l’effetto di ridurre l’afflusso delle acque di pioggia in fogna.

In Emilia e in Veneto alcuni quartieri sono stati progettati in modo da avere dei bacini che permettono, anche con tecniche di depurazione naturale come la fitodepurazione, di trattare le acque meteoriche e le acque grigie in uscita dalle case. Da un lato riducono gli impatti delle piogge violente, dall’altra permettono forme di depurazione.

Questo richiede da noi una profonda riflessione e cambiamento di progettazioni e di abitudini, come il non sprecare cibo e acqua.

IL QUADRO

DOPO IL REFERENDUM


Il Movimento che ha promosso il referendum sostiene che il settore ha bisogno di un ingente fabbisogno finanziario che non può essere caricato sulle tariffe. È necessario quindi ricorrere alla finanza pubblica e alla fiscalità generale. Alcuni sostengono che le tariffe dovrebbero comporsi di una quota gratuita (50 litri al giorno) e di un’altra a prezzo crescente secondo i consumi. Altri sostengono che l’acqua accessibile non deve essere necessariamente a costo zero.

I COSTI DEL SISTEMA ACQUA

L’acqua come bene comune implica diritti e doveri. L’acqua assorbe come costo operativo di gestione 5 miliardi di euro l’anno. Inoltre sono da aggiungere gli investimenti previsti, circa 2,2 miliardi di euro all’anno, che sono ampiamente sottostimati rispetto alle necessità (forse 6 miliardi di euro all’anno).

La spesa complessiva annua necessaria nel complesso sarebbe quindi tra gli 8 e gli 11 miliardi. Pro capite significa da 125 a 180 euro all’anno per ogni cittadino italiano.

I costi vanno coperti oppure le aziende falliscono o gli investimenti non si fanno.

TARIFFE, PROFITTI, INVESTIMENTI

La tariffa davvero non può essere una fonte importante di copertura dei costi? Uno dei criteri potrebbe essere: si paga in base a quanto si consuma. Oppure bisognerebbe inventare un modo di attribuire le tariffe in base a criteri di equità (valore catastale dell’immobile) e in base a comportamenti virtuosi nell’uso e nel riuso delle acque piovane.

È davvero possibile trovare risorse per investimenti solo ricorrendo alla fiscalità generale? Le aziende, quando credibili, potrebbero coinvolgere gli utenti in azionariato; i gestori potrebbero ricorrere a indebitamenti per gli investimenti a certe condizioni.

Bisogna poi capire se tutte le aziende che gestiscono il servizio hanno gestioni efficienti, con costi più razionali e incrementi di produttività.

Le migliori gestioni pubbliche, quelle con le tre e (efficienti, efficaci, economiche), hanno certamente remunerato il capitale investito con il ricorso al mercato, con il profitto, e pertanto sono in grado di effettuare investimenti. Allora perché la gestione dell’acqua non può essere for profit?

Tutti devono fare i conti con temi complessi per poter dare informazioni corrette ai cittadini: politici, giornalisti, commentatori, universitari, tecnici… Ci aiuteranno a capire e a scegliere o siamo in balia della demagogia elettorale?

Illustrazione di Giampiero Ferrari

Dalla rubirca di NP A COME AMBIENTE

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