La Pentecoste

Pubblicato il 22-01-2014

di Simona Pagani

Ogni martedì alle ore 20.30 la Fraternità, gli amici e volontari del Sermig e tutti coloro che lo desiderano si ritrovano all'Arsenale per rinsaldare le motivazioni del loro cammino, con l'aiuto del silenzio, della Parola di Dio e della musica. Ogni volta uno di noi della Fraternità offre degli spunti di riflessione e testimonianza a partire da un brano della Parola di Dio.
La rubrica "I martedì del Sermig" desidera condividere con voi questi spunti. Per rinnovare la speranza.


commento a Atti 2,1-13

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio". Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di vino dolce".

“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire”, il capitolo 2 degli Atti inizia così. Il giorno di Pentecoste per gli ebrei era una festa importante. 50 giorni dopo la Pasqua, a Pentecoste, celebravano la festa dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, la consegna a Mosè delle tavole della Legge. I discepoli sono nel cenacolo, quello stesso luogo in cui hanno vissuto alcuni tra i momenti più importanti della loro sequela. È nel cenacolo che con loro Gesù ha vissuto l’ultima cena, ha lavato loro i piedi . Nel cenacolo ha annunciato la sua morte e la sua resurrezione e il tradimento di qualcuno di loro. Nel cenacolo si sono ritrovati insieme pieni di tristezza e di paura dopo la crocifissione di Gesù. Nel cenacolo Gesù a porte chiuse è entrato e si è mostrato loro vivo, risorto.

È nel cenacolo che ora vengono immersi nello Spirito Santo. Gesù aveva ordinato loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre: “Giovanni ha battezzato in acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo. Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra”. Questi uomini hanno vissuto tre anni con il Maestro, sono stati scelti da lui, lo hanno visto predicare, da lui sono stati inviati a predicare, lo hanno visto crocifisso e poi risorto eppure tutto questo ancora non basta! Non basta per essere suoi testimoni, non sono ancora pronti. Gesù chiede loro di aspettare, di ricevere prima lo Spirito Santo. Hanno bisogno della forza dello Spirito Santo per poter essere testimoni. Quello che hanno vissuto, visto, toccato e quello che ricordano non è sufficiente per essere testimoni di Lui “fino ai confini della terra”.

Qui c’è in gioco qualcosa di fondamentale per la nostra fede che dobbiamo fare nostro. Perché non basta? Ci sono persone che conosco che hanno fatto un incontro vero con Cristo risorto e questo incontro li ha spinti a fare scelte radicali, diventare sacerdoti o monaci, eppure a distanza di tempo qualcuno di loro si è spento, la sua vita non parla più di Dio. Perché? Perché l’incontro con Dio non è la magia di un attimo da fotografare e incorniciare e poi appendere al muro, ma è una relazione che inizia da un incontro e che cresce giorno per giorno nutrendoci della presenza viva di Dio dentro di noi. Per questo, come i discepoli, abbiamo bisogno che lo Spirito Santo venga a dimorare dentro di noi.

Lo Spirito Santo non è come la nostra memoria che forse è capace sì di ricordare tutte le parole che Gesù ci ha detto (conosco persone che conoscono a memoria i quattro Vangeli)! Lo Spirito Santo mentre ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha detto, ci comunica Gesù, la comunione tra Lui e il Padre. Abbiamo bisogno ogni giorno di vivere questa comunione, di lasciarci vivificare e cambiare dalla sua Presenza. Mi ha colpito molto quello che ha detto papa Francesco qualche giorno fa: “La vita cristiana senza la presenza dello Spirito Santo non è cristiana. È una vita religiosa, pietosa come quella di chi crede in Dio, ma senza la vitalità che Gesù vuole per i suoi discepoli”. Solo se lo Spirito Santo dimora in noi il nostro fare e agire è cristiano, altrimenti faremo sì tante cose buone e belle, ma il nostro fare e agire è solo insaporito di cristianesimo, come quei cibi aromatizzati tipo l’olio al tartufo da cinque euro che del tartufo conserva una vaga memoria! Ben diverso è una pietanza al tartufo rispetto a una condita con l’olio al tartufo!

“Senza di me non potete fare nulla” ci dice Gesù nel Vangelo di Giovanni e in un salmo leggiamo: “Se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i costruttori”.
Potrebbe sembrarci un invito alla passività, ma non lo è! È un invito a orientare la nostra prima azione ogni giorno, più volte al giorno, al fare spazio dentro di noi in un atteggiamento di attesa, di silenzio e a chiedere come prima azione l’aiuto dello Spirito Santo. Con lui poi, certo, siamo chiamati a costruire. Gesù ci ha detto che il Padre darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono. Che cosa fa lo Spirito quando scende sugli apostoli? Li trasforma. Perché? Non andavano bene com’erano? Erano ancora pieni di confusione. Ce lo fa capire la domanda che fanno a Gesù qualche giorno prima del giorno di Pentecoste quando gli chiedono se è questo il tempo in cui ricostruirà il regno di Israele. Sono ancora lontani anni luce dal progetto di Dio, dai suoi pensieri, dal suo modo di sentire! Certo il loro cuore è carico di gioia per l’incontro con Gesù risorto, ma c’è ancora tanta confusione in testa, e poi c’è la paura per ciò che c’è fuori dal cenacolo: l’ostilità dei giudei nei loro confronti. Quando lo Spirito Santo scende su di loro, dona pace, scioglie i dubbi, le paure, piega le loro rigidità: scioglie, unifica, armonizza il cuore, la testa, le gambe. Come opera lo Spirito? Portando idee, argomentazioni, concetti? No! Comunicandosi! Rendendo partecipi della comunione che c’è tra il Padre e il Figlio. Porta nella nostra vita la vita Dio, l’amore di Dio. "Tu Padre sei in me e io in te, siano anche essi in noi una cosa sola". Ogni volta che ci sentiamo divisi, chiediamo allo Spirito Santo di intervenire nella nostra vita di armonizzare il cuore, la testa di unificarli di renderci partecipi della comunione che lo Spirito ci porta. 

La seconda cosa che lo Spirito Santo fa è inviare verso gli altri. Non c’è scritto che uscirono dal cenacolo. D’un tratto è come se le quattro mura di quella casa, che avevano raccolto la vita di quella prima comunità scomparissero. Lo spazio si dilata, la casa di questi discepoli diventa il mondo, le mura diventano i confini della terra. Le nazionalità elencate, infatti, simboleggiano tutti i popoli della terra allora conosciuti. Lo Spirito ci fa uscire dal “mio”, dal “nostro”, dal privato. L’amore elimina muri e barriere. Non si può inscatolare o chiudere dentro. Dio si dona e ci chiede di entrare in questa dinamica di dono che non esclude nessuno. Lo Spirito Santo ci trasforma e cambia il nostro modo di vedere gli altri, la vita, il mondo. Ecco allora che i giudei fuori dal cenacolo non sono più gente da temere ma fratelli da incontrare che hanno bisogno di ricevere quell’amore da cui loro stessi sono stati avvolti. Lo stupore che investe i giudei fuori dal cenacolo non è legato solo al fatto che sentono gli apostoli parlare le loro lingue, ma li sentono annunciare le grandi opere di Dio. È uno stupore che non coinvolge solo la testa di chi ascolta (stupiti, sbigottiti, fuori di sé), ma tutta la persona nella sua interezza e profondità.

Lo Spirito non crea solo comunicazione, ma allarga la comunione a chi lo accoglie. Non basta infatti parlare la stessa lingua, ce lo dice non solo l’episodio di Babele, ma anche la nostra vita quotidiana. Quante incomprensioni, barriere, muri con familiari, amici, colleghi. Invochiamo lo Spirito Santo, chiediamo che sia lui a creare la comunione che non c’è. Tra i giudei le reazioni sono diverse. C’è chi deride gli apostoli dicendo: sono ubriachi. Alcuni non riescono a spiegarsi quello che sta accadendo, la testa non basta per comprendere Dio. Perché Dio non si spiega, si comunica e ci chiede non di capirlo, ma di accoglierlo: è da dentro che ci guida alla verità. Ma c’è chi non capendo mette le distanze. Quante volte facciamo anche noi la stessa cosa. Non capisco quindi taglio, chiudo. Lasciare aperto costa fatica, la fatica dell’incertezza, dell’attesa. Chiudere è più semplice e più economico perché mi fa tornare nell’ambito del certo, del conosciuto, del familiare.

Il giudizio imbalsama la persona, la blocca nel tempo e nello spazio, in modo che non ci disturbi, non ci inquieti più e ci permetta di tornare in pace alla nostra vita. C’è invece chi non chiude, chi accoglie e lascia che l’azione dello Spirito lo raggiunga. Non comprendono, ma non si chiudono, lasciano aperto il cuore, come ha fatto Maria. “Come è possibile?”, chiede, ma si fida. Non capisce, ma si fida. Chiediamo al Signore la grazia di farci capire in profondità il bisogno che abbiamo dello Spirito Santo e di chiederlo come l’acqua di cui abbiamo bisogno per vivere.

di Simona Pagani – Fraternità della Speranza 
I martedì del Sermig

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