Natale testardo

Pubblicato il 21-12-2015

di Ernesto Olivero

Poesia di Ernesto Olivero sul Natale pubblicata su Avvenire di domenica 20 dicembre - avvenire.it

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Natale testardo
25/12/2015 

Rinasci ancora
Dio mio.
Anche quest’anno
testardamente
speri
che almeno un uomo,
uno,
apra il suo cuore.
Rinasci ancora 
Dio mio
sapendo che la croce
testardamente
ti accompagnerà.


Continuo a guardarti

stupito
da questa immensità
d’amore
che è anche per me.
Rinasci ancora
Dio mio
e io
testardamente
continuo a sperare
di darti almeno 
una piccola
grande consolazione.

Ernesto Oivero

LA PORTA APERTA - il mensile del Giubileo, dicembre 2015 - Supplemento ad AVVENIRE (avvenire.it)

RICONCILIAZIONE - cantiere di umanità 
di Ernesto olivero

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Quando nel 1983 io e i miei amici entrammo nel vecchio arsenale militare di Torino, ci trovammo di fronte a un rudere. Io lo vedevo già fatto, lo vedevo già Arsenale della Pace. Sapevo che quella profezia avrebbe incrociato il cuore e la strada di centinaia di migliaia di persone. Non lo vedevo come un luogo fatto solo per me, per i miei amici, per chi professava la mia stessa fede. No, io sentivo che in quel rudere sarei dovuto entrare sicuramente come Chiesa, ma anche a nome di tutti gli uomini e donne di buona volontà. Ricordo che quel giorno avevo con me la Bibbia che mi aveva regalato il mio arcivescovo, padre Michele Pellegrino e alcuni libri di una mia amica partigiana, non credente. Entrai così, a nome di tutti, con un sogno nel cuore: quell’Arsenale di Pace che vedevo già fatto sarebbe stato una casa sempre aperta, una casa accogliente, con qualcuno sempre pronto ad ascoltare, a fasciare, a consolare, a dare una carezza. Soprattutto, qualcuno che avrebbe deciso intimamente di non giudicare mai.

Per me la misericordia è una casa sempre aperta, come le braccia di Dio, come il suo cuore, un patrimonio che ti fa dire con la vita prima ancora che con le parole: “Entrate, c’è posto, è qui la misericordia che cercate. È qui il senso di tutto”. Quando riusciremo a fare nostro questo stile di Gesù, entreremo nella trascendenza e accoglieremo pienamente la chiamata ad essere buona notizia per tutte le persone che bussano: peccatori, uomini e donne lontane dalla fede, con sofferenze indicibili. Una Chiesa che si china, che ascolta, che comprende, che non mette fuori. Una Chiesa che indica dei no e dei sì, consapevole che attraverso un no detto senza frustrazione è possibile scoprire doni immensi. La Chiesa che è un ponte continuo: qualunque errore, qualunque limite, qualunque dubbio possono trovare una chiave di misericordia.

Oggi, invece, per tanti la Chiesa è sinonimo di severità, di noia, di divieti. Sarebbe bello invece che la gente la vedesse con le braccia aperte, come Gesù l’ha pensata. Quando Gesù dice: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28) dà un volto preciso alla sua Chiesa. Se un uomo vive un momento di angoscia senza fine, da chi può andare? Se un odio improvviso è pronto a far diventare la sua vita una follia, una mano chi gliela può dare? Se è divorziato, che futuro può avere nella Chiesa? Se un ragazzo si confronta con la sua omosessualità, se il suo corpo ribolle di sensazioni, chi lo può aiutare a districarsi? Se un ex carcerato assassino dopo aver scontato la pena continua a non dormire di notte per il rimorso, chi lo acquieta? Se mille giovani sono attratti dall’autodistruzione, chi è capace di guardarli negli occhi con tenerezza e ascoltarli? Se i cristiani hanno il bastone in mano, il giudizio sulle labbra, la durezza nel cuore, sono severi e basta, questa gente da chi andrà? Magari da una cartomante, da un guru, in qualche setta, ma non più verso la Chiesa.

Non possiamo ignorarlo, né accontentarci di essere quelli che “stanno dentro”. Cerchiamo invece di convertirci al Vangelo, cerchiamo di fare nostra una Chiesa che abbia il cuore grande del Padre, la compassione di Gesù, soprattutto verso i persi. È urgente che torniamo a declinare così il comando dell’amore, il cuore della nostra fede. Nel segno di una concretezza credibile. Pensiamo ai discepoli di Gesù, ai primi cristiani. Con tutte le loro sofferenze, con tutte le loro difficoltà portarono una testimonianza decisiva nel mondo pagano che li circondava, perché erano credibili, e quindi autorevoli. L’annuncio era la loro vita, davvero intrisa di Gesù.

Ora questa sfida è affidata a noi, al nostro tempo. Abbiamo davvero la possibilità di indicare la strada di una nuova umanità possibile, improntata sull’amore. Ma non bastano pochi uomini di buona volontà. C’è bisogno di intere comunità, c’è bisogno che la Chiesa tutta si converta a questa missione e lo faccia subito! Sarebbe bello che in questo Giubileo, noi cristiani riuscissimo a far rivivere le pagine splendide della Lettera a Diogneto: cristiani come persone che si vogliono bene, rispettano le leggi, vivono nella loro patria, ma come forestieri, dimorano sulla terra ma hanno la cittadinanza in cielo; non gettano i neonati, vivono del loro lavoro, non si distinguono per un abito particolare ma sono riconoscibili per la bontà; quando sono maltrattati, ingiuriati e condannati benedicono. Sono l’anima del mondo. Anche noi possiamo essere così ! Cristiani che si amano, che non parlano mai male di nessuno; che quando sanno di un problema, di una povertà si fanno in quattro senza attendersi un grazie; che credono nella luce e nel perdono alla portata di tutti; che non condannano nessuno, perché sono come Gesù, che non condanna, ma ama. Continuamente.

Ernesto Olivero

 

 

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