Un nuovo giubileo

Pubblicato il 18-12-2022

di Chiara Genisio

Carceri sovraffollate? Iniziamo a liberare coloro che hanno da scontare meno di due anni. La proposta non è del Guardasigilli, ma di mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Con un suo intervento su un quotidiano nazionale, ha ripreso alcune considerazioni di Mauro Pianta, garante nazionale delle persone private della libertà, in cui sottolineava l’importanza di un «graduale accesso alle misure alternative» ritenendolo «un elemento di forza nella costruzione di un percorso verso il reinserimento».

In carcere oggi ci sono circa 1.300 detenuti che devono scontare pene inferiori a un anno e quasi 2.500 con una pena tra uno e due anni. Il garante evidenzia che: «Per queste persone il tempo è totalmente vuoto. Spesso stanno lì perché non hanno il domicilio o l’assistenza legale, appartengono a una povertà complessiva. Se riuscissimo a portarle in altre strutture territoriali di controllo e supporto si abbasserebbero anche i numeri del sovraffollamento».

Prendendo spunto da queste considerazioni, mons. Paglia ha illustrato come la liberazione dei carcerati tocca il contenuto stesso del messaggio biblico. «La stessa tradizione del Giubileo – ha spiegato – significava l’azzeramento delle ingiustizie: ogni 50 anni si ricominciava tutti daccapo, anche i carcerati dovevano ripartire per una società nuova assieme a tutti. Ricordo ancora il professor Valdo Vinay, un grande pastore e professore valdese, il quale spiegava la salvezza come grazia con l’esempio di un inviato dello Stato che va in un braccio della morte e grida a tutti: “Siete tutti graziati!”. Questo – spiegava – è il Vangelo, la Buona notizia di Dio agli uomini».

Nella sua riflessione il presidente della Pontificia Accademia per la Vita rimarca che se da un lato la prigionia, la costrizione della libertà, la separazione dalla comunità, non possono essere intese come un’anticipazione del giudizio universale, che spetta solo a Dio, «la limitazione della libertà e della condivisione che formano l’habitat della comunità ha un suo contenuto di sacrificio e di espiazione che ha un senso etico: e appunto per questo deve essere orientato al recupero e alla ricomposizione e alla riconciliazione con la comunità».

Ma mette in guardia: il problema sorge quando le sue modalità e i suoi effetti appaiono sproporzionati: o addirittura contraddittori. «Le proporzioni di questo scarto – conclude – valutate in termini globali, presentano, ancora oggi, figure della costrizione e dell’avvilimento molto vicine a quelle per le quali i profeti biblici spendono parole di promessa e ammonimenti di giustizia, in nome di Dio: gli esiliati, i perseguitati, gli schiavi».


Chiara Genisio
NP ottobre 2022

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok