Andrà tutto bene

Pubblicato il 05-10-2020

di Renato Bonomo

Il 28 ottobre del 1921, Maria Bergamas, a nome di tutte le madri che avevano perso i propri figli nella Gran­de Guerra, venne chiamata a scegliere tra 11 bare quella che avrebbe dovuto essere tumulata come milite ignoto nell’Altare della Patria. Nei giorni succes­sivi la bara venne caricata su un fusto di cannone e portata a Roma in treno per la tumu­lazione alla presenza del re. In ogni stazione, due ali di folla accoglievano il passaggio della salma.

Fu un vero e proprio rito di una religione politica con simboli e liturgie tipiche della retorica patriottica. La celebra­zione collettiva del ricordo delle vittime della guerra non fu però un evento solo italiano.

Negli anni Venti in diversi Paesi del mondo vennero costruiti un numero straordinario di monu­menti volti a ricordare i caduti della Grande Guerra. Nella sola Francia vennero edificati oltre 176.000 memoriali. Tale impo­nente opera di memoria collet­tiva si può spiegare con il fatto che la Prima guerra mondiale fu uno dei primi grandi avveni­menti di massa che entrò in pro­fondità nella vita delle singole persone. Quasi tutte le comunità ebbero almeno un caduto o un ferito da commemorare.

Ma una spiegazione del genere non basta: la celebrazione del do­lore subito aveva il compito di generare coesione nelle società. Il dopoguerra aveva esasperato le divisioni sociali e le disegua­glianze: i governi cercarono di ricomporle attraverso una narrazione unitaria del passato, a volte operando evidenti forza­ture storiche pur di raggiungere l’obiettivo.

Le esperienze del milite ignoto e della commemora­zione collettiva della memoria sono occasioni per riflettere su quanto sta accadendo nei nostri giorni di coronavirus. Se certe celebrazioni del passato sem­brano eccessivamente stucche­voli, altrettanto sconcertante è la mancanza di ricordo delle generazioni attuali.

A pochi mesi di distanza dai giorni più difficili della pandemia, sembra essere rimasto molto poco di quella sorta di tensione civile che l’isolamento aveva suscitato. Pochissime sono state le manife­stazioni per commemorare le tante vittime del coronavirus morte e sepolte in solitudine.

Tra le poche lodevoli eccezioni quella che il presidente Mat­tarella ha fortemente voluto a Bergamo. Sembra aver preval­so il desiderio di rimuovere l’isolamento, senza fare troppo i conti con la coscienza indivi­duale e collettiva.

Superata in qualche modo l’emergenza, sono tornati l’indifferenza e l’eccessi­vo credito concesso al proprio io a scapito del noi. Peccato che quando però l’io prevale sul noi, viene meno la tensione al futuro e quindi la speranza. Tutto viene appiattito in un finto presente.

Nessuno di noi può vivere senza memoria, neanche le società possono farlo. Chi coltiva il pas­sato è perché – nel bene o nel male – possiede una determina­ta visione del futuro. Chi non ha passato non può neanche avere futuro. E allora non so se andrà veramente tutto bene.

 

Renato Bonomo

NP Agosto/Settembre 2020

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