Articolo uno

Pubblicato il 12-06-2024

di Stefano Caredda

Non solo uno strumento per procurarsi da vivere, ma qualcosa di molto di più: il lavoro è quella cosa che ci lega alla realtà, ci fa vivere in relazione, costruisce una parte importante della nostra autostima, ci dà il senso dell’identità personale (dicendo di essere un insegnante, un medico, un idraulico ci raccontiamo a partire dalla dimensione lavorativa). Il lavoro insomma dà valore alle nostre capacità e costituisce in definitiva un mezzo per esprimere la nostra personalità e per concorrere – come opportunamente ricorda la nostra Carta Costituzionale – al progresso materiale o spirituale della società.

Un elemento così centrale nel garantire dignità a ognuno di noi va osservato con grande attenzione per far sì di individuare e incrementare le politiche che lo promuovano. Ma come in molti altri ambiti, anche la fotografia del mercato del lavoro in Italia racconta una disparità di opportunità e di trattamento: come noto le criticità riguardano soprattutto la popolazione giovanile e quella femminile, che hanno tassi di occupazione nettamente inferiori rispetto alla media europea. In assoluto il tasso di occupazione a fine 2023 è stato in Italia del 70,4% per gli uomini e del 52,5% per le donne, con divari evidenti su base territoriale: questo stesso indicatore è pari al 69,8% nel nord del Paese, al 66,1% nel centro, al 48,6% nel mezzogiorno.

Fra le tante limitazioni strutturali che le rilevazioni segnalano ce ne sono alcune particolarmente profonde che riguardano quelle persone che in loro stesse vivono più situazioni statisticamente svantaggiose: una persona con disabilità, ad esempio, ha sulla carta molte meno possibilità di trovare un lavoro (il tasso di occupazione in questa popolazione è pari ad appena il 12%), ma questa condizione sarà ancora più difficile se la persona di cui parliamo è una donna e ancor più se vive al sud.

Fra le categorie meno ricordate in tal senso ci sono le donne migranti, per le quali la scelta migratoria in Italia ha spesso rappresentato anche la porta di accesso a un percorso di emancipazione assai più difficile da intraprendere nei luoghi d’origine. Naturalmente le dinamiche sono notevolmente diverse a seconda dei Paesi e delle culture di riferimento, ma è un dato di fatto che le donne migranti siano oggi occupate solo per il 42%: se la differenza percentuale nel tasso di occupazione fra uomini e donne italiani è di 16,7 punti percentuali, fra uomini e donne migranti sale al 26,3%.
Se occupate, le donne straniere lo sono poi in larga misura in tre ambiti professionali: collaboratrici domestiche, addette alla cura alla persona e addette alle pulizie.

Una situazione che per loro, più che per altri, dipende anche dalla difficoltà a ottenere con modalità semplici, veloci ed economiche il riconoscimento dei titoli di studio o delle qualifiche professionali conseguiti in patria. Diplomi, lauree, certificazioni, abilitazioni, licenze: la migrazione spesso comporta la negazione delle competenze acquisite. Una perdita per loro stesse, certo, ma anche per noi e per l’intera società.
 

Stefano Caredda
NP maggio 2024

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