EMILIO ROSSI, Artigiano della pace e della verità

Pubblicato il 31-08-2009

di Annamaria Gobbato

 

"Chi fa comunicazione e diffonde messaggi dovrebbe tenere ben presente che parla al prossimo e parla del prossimo"  disse quando nel 1987 ricevette il premio Artigiano della Pace dal Sermig.


di Annamaria Gobbato


Lo scorso 4 dicembre è morto nella sua casa di Roma un amico del Sermig, il giornalista Emilio Rossi.
Il cordoglio del mondo politico e istituzionale è stato unanime.

Giorgio Napoletano: "Ha dato senso e vigore al servizio pubblico radiotelevisivo, con limpido impegno democratico e con uno spirito di missione". Walter Veltroni piange "“la scomparsa del grande direttore e maestro di giornalismo", il presidente del Senato Renato Schifani parla di "giornalismo colto, libero e coraggioso"…

Fanno ecco i mass media. Il presidente della Commissione di Vigilanza Riccardo Villari:  "Uno strenuo difensore dei diritti dei telespettatori", e il collega Tito Stagno: "E’ stato un direttore serio, onesto, rigorosissimo".

emiliorossi.jpgNoi diciamo che é morto un giornalista con la passione della verità e della responsabilità, cui la nostra Fraternità aveva dato nel 1987 il Premio Artigiano della Pace. "Ad Emilio Rossi, testimone di un potere trasformato in servizio, oltre gli odi e i rancori”, ne era stata la motivazione. In un incontro all’Arsenale della Pace, ci ammonì che “Chi fa comunicazione e diffonde messaggi dovrebbe tenere ben presente che parla al prossimo e parla del prossimo".
Era anche presidente del Comitato Minori e Tv. Era convinto che “un bambino, un giovane, vive come tutti gli organismi in un ambiente pieno di batteri, però di solito un organismo se la cava in quanto ha degli anticorpi. Allora quello che noi in TV non curiamo abbastanza, a parte la limitazione dei danni, è di dargli una dotazione capace di resistere all’assalto dei batteri e di esprimersi al meglio possibile. Credo che tutti possiamo ricordare il titolo di un libretto di Kapuscinski, un grande maestro del giornalismo, che dice: ‘Per fare il giornalista non bisogna essere cinici’. Si può e forse anche si deve essere magari scettici, magari realisti, magari increduli nell’accettare  informazioni  e magari disinvolti nel digerirne tante, perché se no si crepa ad ogni emozione, però guai se c’è una visione cinica del mondo”.

Genovese di nascita, dopo la laurea in giurisprudenza e in filosofia
, e un primo impiego presso un quotidiano locale, Rossi entrò in Rai nel 1956. Primo direttore del Tg1 dopo la riforma del 1975, come Indro Montanelli, Vittorio Bruno, Nino Ferrero, nel 1977 venne gambizzato dalle Brigate Rosse. 
Tornato a lavorare poco prima del sequestro Moro, proprio durante quei 55 giorni inventò il primo tentativo di tg non-stop.


Appassionato lettore – leggeva anche per strada, andando a lavorare - fu scrittore lui stesso.

Molti i titoli, da “Il pensiero politico di Jacques Maritain”, “La politica come follia - Ironia e verità di Pascal”, a “Una pendola per lo zar.  La politica, il tempo, la morte”, a fino all’ultimo, “L'undecima Musa. Navigando con Ulisse nel mare della comunicazione di attualità”.
Presidente dell'Unione cattolica della stampa italiana, fu anche direttore del Centro Televisivo Vaticano. Nel corso della sua vita, ricevette numerosi altri premi, tra cui il Premio Ilaria Alpi alla carriera. Una carriera sintetizzata bene da Arrigo Levi su La Stampa: "Addio Emilio Rossi, i valori come notizia".

 

di Annamaria Gobbato

 
 

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