Estradizione negata

Pubblicato il 03-08-2023

di Edoardo Greppi

La sentenza francese nei confronti dei terroristi italiani lede le ragioni del diritto

Una vergognosa e indecente sentenza è calata da Parigi all’Italia nei giorni scorsi. Si è trattato di un ingiustificabile schiaffo all’Italia e alle ragioni del diritto. Il 28 marzo 2023 è stata depositata la pronuncia della corte di cassazione francese che ha confermato la decisione della Chambre de l’Instruction della corte d’appello di Parigi (adottata nel 2020) di non concedere l’estradizione in Italia per dieci terroristi, latitanti in Francia, condannati per gravissimi fatti di sangue commessi duranti i cosiddetti “anni di piombo”. Una lunga latitanza, finalizzata a sottrarsi alla giustizia italiana, si è rivelata pagante.

La corte di cassazione francese, infatti, ha fatto propria una decisione che, di fatto, garantisce la totale impunità a un nutrito gruppo di assassini, ignorando le più elementari esigenze del funzionamento di un sistema giudiziario e, soprattutto, le sacrosante ragioni delle vittime e delle loro famiglie. I soggetti in questione sono otto uomini e due donne – Giorgio Pietrostefani (uno dei mandanti dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi), gli ex brigatisti rossi Giovanni Alimonti, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi e Maurizio Di Marzio, Luigi Bergamin (ideologo dei Proletari armati per il comunismo), Narciso Manenti (dei Nuclei armati per il contropotere territoriale) e Raffaele Ventura (delle Formazioni comuniste combattenti). Tutti i dieci sono stati condannati in Italia con pene mai eseguite o scontate soltanto in parte, grazie all’applicazione della cosiddetta infame “dottrina Mitterand”. L’allora presidente francese aveva offerto rifugio e protezione ai terroristi rossi in cambio di una generica promessa di lasciare la lotta armata.

Uno degli aspetti più sgradevoli della vicenda sta nel fatto che la Francia considerava quei processi “politici”, e le sentenze il frutto di una giustizia esercitata con strumenti eccezionali, al di fuori delle regole giudiziarie di un equo processo ordinario. In realtà, si è sempre trattato di processi pienamente rispondenti ai canoni della giustizia più rigorosa, imparziale e corretta, con imputati responsabili di fatti di particolare gravità messi in condizione di godere di tutti i diritti a una difesa adeguata. Per quanto riguarda i processi in contumacia, occorre ricordare che gli imputati – messi pienamente a conoscenza dei processi a loro carico – si erano sottratti volontariamente alla giustizia.

Negli anni scorsi avevamo assistito a un’altra vicenda incredibile: le scandalose coperture delle quali aveva potuto godere – dapprima proprio in Francia, per molti anni, e poi in Brasile – un altro terrorista pluriassassino, Cesare Battisti, condannato per quattro omicidi. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva manifestato «stupore e profondo rammarico dinanzi alla decisione del ministro della giustizia brasiliano di concedere lo status di rifugiato politico al terrorista Cesare Battisti». Battisti, come i dieci di cui all’ultima decisione francese, deve essere considerato un terrorista condannato dopo un regolare processo, e non un legittimo combattente in una guerra civile, vittima di un processo sommario, come sostenuto dai suoi paladini e difensori. Gli strascichi della vicenda dell’asilo offerto dalla Francia ai terroristi assassini sono arrivati fino ai nostri giorni. Nell’aprile 2021, in esito a una richiesta italiana, erano stati arrestati sette dei dieci latitanti, mentre altri due si erano poi costituiti e l’ultimo era stato arrestato poche ore dopo.

Il governo italiano, all’indomani dell’arresto dei condannati avvenuto in Francia, aveva trasmesso, il 20 gennaio 2020, la richiesta di estradizione per consentire l’esecuzione della pena. Quest’operazione aveva fatto rinascere qualche speranza, alimentata da un’intesa tra il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del consiglio italiano Mario Draghi. Intanto, però, la surreale giustizia francese percorreva altre strade, vanificando i tentativi di dare finalmente risposta alla domanda di giustizia che arrivava da Roma.

La corte di cassazione francese, nel respingere il ricorso del procuratore, che aveva impugnato il provvedimento della corte di appello, ha motivato il diniego sostenendo che la consegna avrebbe comportato una lesione sproporzionata del diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950), perché i condannati erano presenti da molti anni sul territorio francese e avevano «rotto ogni legame con l’Italia».

L’argomentazione è inaccettabile. Come ha commentato Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato, c’è «un dettaglio fastidioso e ipocrita: la cassazione scrive che i rifugiati in Francia si sono costruiti una situazione famigliare stabile e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare. Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo mariti e padri di famiglia». Nessuno dei terroristi assassini ha mai manifestato pentimento. «Da parte loro c’è mai stata una parola di ravvedimento, solidarietà o riparazione». La vedova del commissario Calabresi, Gemma, nel 1972 si è trovata vedova a 25 anni con tre bambini. Dove si trova il «diritto a una vita privata e famigliare»? La vergognosa sentenza francese lo riconosce ai terroristi assassini ma non alle loro vittime.

Edoardo Greppi

NP Maggio 2023

La Cassazione francese scrive che i rifugiati in Francia si sono costruiti una situazione famigliare stabile e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare. Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo mariti e padri di famiglia

(Mario Calabresi)

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