Eucaristia

Pubblicato il 29-09-2011

di Giuseppe Pollano


La festa del “Corpus Domini” -Corpo del Signore-, istituita da papa Urbano IV nel 1264 in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena, chiude il ciclo delle feste del periodo successivo alla Pasqua e intende celebrare il mistero della reale presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati che diventano Suo corpo e Suo sangue. La riflessione di mons. Pollano aiuta ad approfondire il significato dell’eucaristia per il credente.


di Giuseppe Pollano
 
“Prendete e mangiate: questo è il mio corpo” (Mt 26,26), o, come sarebbe meglio intendere secondo il linguaggio biblico, “questo sono io”. L’eucaristia è il sacramento centrale di tutto il cristianesimo e tutte le attività della Chiesa convergono allora in quel punto di incontro essenziale con Dio come egli stesso ha inventato.

DIO ENTRA NELL’UOMO CON LA MASSIMA MISURA POSSIBILE

Dio costruisce l’uomo poco per volta. Comincia con il primo Adamo, non ancora l’uomo che Dio vuole portare a compimento. La costruzione dell’uomo da parte di Dio continuerà fino al punto in cui Dio stesso entrerà di persona nell’uomo per farlo diventare divino, perfetto. Con l’eucaristia siamo al culmine della costruzione divina riguardo alla figura umana. Il processo di costruzione continua è un profondo istinto dell’uomo, ma è solo Dio che completa l’opera e, dice il Vaticano II, ci regala l’uomo perfetto, Gesù Cristo.
L’eucaristia è il punto di incontro straordinario nel quale il Verbo, fatto uomo come me, riesce a entrare in me. A nostro livello umano, quando ci vogliamo molto bene e facendo un po’ di poesia, possiamo anche dire: tu in me, io in te; ma è un modo di dire, perché ciascun soggetto rimane se stesso. Invece qui accade ciò che Paolo descrive con parole magnifiche: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr. Gal 2,20).

DIO DIVENTA NUTRIMENTO DELL’UOMO
Assunzione, assimilazione, effetto benefico è il passaggio che accade tra un po’ di cibo e me. È un processo fisico-chimico. Invece quello che avviene tra Gesù e me, tra persona e persona, è qualcosa di molto più grande e profondo: primo, assumo la personalità di Gesù Cristo; secondo: la devo assimilare, perché non basta inghiottire una particola perché tutto poi proceda automaticamente, come se intervenissero reazioni chimico-fisiche; ed ancora, terzo, l’assimilo in modo che diventi capace di comportarmi come lui. Questo è ciò che si intende per trasformazione della propria personalità. Gesù è stato molto esplicito: “Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita” (Gv 6,53).

IL CAMMINO DI TRASFORMAZIONE
Il profilo del comportamento di chi si nutre di Gesù può essere descritto attraverso tre aspetti che devono essere assunti e fatti propri: il pensiero critico, il sentimento guida, la volontà decisionale.

il pensiero critico (1Cor 2,15-16). Paolo, confrontando l’uomo naturale a quello spirituale, afferma che quest’ultimo vede e giudica le cose in maniera divina perché possiede il pensiero di Cristo. A poco a poco il giudizio critico del Signore sostituisce il mio, segno di un cammino di trasformazione sicuramente non facile, ma che è quello che ci divinizza. In realtà ci sono pensieri di Cristo che sono ancora in lotta con i miei, so cosa Gesù mi direbbe di pensare, ma io invece la penso ancora un po’ a modo mio e quindi una volta mi comporto come lui e un’altra volta diversamente. Tutti abbiamo questa frontiera dentro, è la frontiera della conversione. Quando poi il giudizio di Gesù è diventato il mio, diventa naturale comportarmi secondo il suo pensiero che è in me e che ormai mi guida e mi accorgo che sono diverso.

il sentimento guida (Fil 2,5). Il profondo sentimento guida che mi fa essere cristiano è la grande umiltà di Cristo, il quale si abbassa ad essere nostro servo e a morire per noi. Se io assumo Cristo a poco a poco se ne vanno via le mie arroganze, le mie pretese, i miei desideri di primeggiare. Insomma, di tutto il panorama dell’io che vuole affermarsi non me ne importa più, qualcosa di diverso è in me, comincio a conoscere, per esperienza, l’umiltà del Signore. Le umiliazioni non mi uccidono più, non mi fanno nascere risentimenti, desideri di vendetta; capisco che sono doni del Signore che mi assimilano a lui, Dio umiliato, e che sono premessa di gloria.
Il pensiero critico ti fa vedere le cose nella verità, il profondo sentimento di Gesù ti spinge a viverle per mezzo dello Spirito santo che Gesù ci dona.

la volontà decisionale (Mt 10,38). Assumo in me la volontà di Gesù che mi ha detto di prendere la sua croce e seguirlo se voglio essere suo discepolo. Io ero rimasto esitante, perché la mia volontà era debole, retrocedeva, perché ero impaurito. Ma a poco a poco io ho preso parte alla sua volontà e ho capito. Ora mi sento forte e motivato, anzi, sono sicuro che è bene fare la sua volontà e ho il coraggio di prendere la mia croce, la croce che Gesù mi offre.

Come pensi, come sei, come decidi: quando questi tre grandi elementi che formano l’identità di una persona a poco a poco sono entrati in te, puoi dire che l’eucaristia ti fa davvero effetto, sei una persona eucaristica.
Non devo avere paura se mi trovo in difficoltà con l’eucaristia: porto a Gesù la mia pochezza, la mia debolezza, non mi vergogno di dire che mi piacerebbe una certa cosa, però dico al Signore che non la mia, ma la sua volontà si faccia, esattamente come lui ha detto al Padre. La trasformazione, a poco a poco, per la grande bontà del Signore, accade.

LA QUALITÀ DEL NUTRIMENTO
Se l’eucaristia produce questa trasformazione che dà vita, si dovrebbe concludere che tutta la gente dovrebbe correre a cibarsi di Gesù con entusiasmo. Invece non accade, perché c’è una ragione che non è legata al processo di trasformazione, ma all’accettazione della qualità del cibo e della bevanda. L’eucaristia nasce sull’altare, non è casuale che ci siano corpo e sangue ben divisi e separati, e questo vuol dire morte. Dunque io vado ad assumere non un Dio in qualunque condizione, ma un Dio in condizione sacrificale, io mangio una vittima. È una cosa che non farei mai, a meno di non riuscire a capire la grandezza di questa vittima.

Perché Gesù ci porge la sua carne e il suo sangue? Gesù ha avuto un atteggiamento di amore verso il Padre, che si è spinto fino all’oblazione: i tuoi figli non ti amano, ma il tuo Figlio ti ama, chiedimi tutto. Se ti chiedo la vita per loro, me la doni? Se fosse possibile no, ma se me lo chiedi tu, sì. E il Padre ha chiesto tutto a nostro favore ed ecco un Figlio innocente trasformato in sacrificio.
Ecco l’eucaristia, ecco l’altare, ecco il mio cibo e la mia bevanda che allora non posso assumere come se fosse un qualsiasi nutrimento. Io vado ad assumere il sacrificio eroico di Cristo ed intendo farlo diventare anche mia vita; io mi nutro di Cristo per diventare capace di dire come lui “chiedimi tutto” e di avere il suo atteggiamento.

Oggi l’inflazione dell’eucaristia, la comunione molto facile e vissuta con leggerezza, avviene perché non c’è la consapevolezza di ciò che soggiace a questo sacramento. Fare la comunione invece è semplicissimo, chiunque può accostarsi. Questa tremenda facilità non è superficialità da parte di Dio, è la sua bontà, è un grande amore perché vuole essere il nostro pane quotidiano.

C’è un ammonimento molto serio che Paolo rivolge ai Corinti: esaminare se stessi prima di accedere a Cristo, perché “chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna” (1Cor 11,29). Quindi non mi conviene accostarmi alla comunione? Nella storia della Chiesa c’è stato un movimento molto rigoroso, il giansenismo, che intimidiva dinanzi alla comunione. È sbagliato pensare che ci vuole una lunga preparazione perché non si è mai sufficientemente degni: Gesù si è fatto semplice pane, non cibo ricercato o raffinato, che magari mangi solo ogni tanto, però non si può prendere questo pane dimenticando che Gesù ci ama.

Se stai lontano dall’eucaristia perché la consideri un sacramento troppo grande per te, vivi una falsa umiltà: non te ne stare lontano da chi ti è venuto così vicino e vuole entrare in te. Sei debole e fragile? Non spaventarti, Gesù non è venuto per i giusti ma per i peccatori. Paolo ha scritto quella frase non per allontanarci dall’eucaristia, ma per esortarci a viverla con straordinaria gratitudine ed umile onestà.

LA CHIESA, IL CORPO DI CRISTO
Questo sacramento è personale, ma, allo stesso tempo, non è solo per me. Infatti il ‘risultato’ dell’eucaristia non è la singola persona santificata, ma la Chiesa intesa per quello che è: il corpo di Cristo (1Cor 12,27), una Chiesa che nasce, che viene fuori dall’eucaristia. Il frutto dell’eucaristia è perciò ecclesiale, edifica la Chiesa nella carità (Ef 4,16). La pratica eucaristica ci rende fratelli, ci apre il cuore. L’eucaristia allora è missione, potente testimonianza, proprio come è nel disegno di Dio.

Da un incontro di mons. Giuseppe Pollano al Sermig

Vedi il dossier:
Mons. Giuseppe Pollano - riflessioni inedite per la Fraternità del Sermig

 

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