Giovani e lavoro

Pubblicato il 22-03-2021

di Fabrizio Floris

Ritorna cicli­camente nel dibattito sul lavoro il con­flitto tra gio­vani e vecchi, un po’ come se ci si trovasse di fronte ad un gioco a somma zero: via un vecchio dentro un giovane. Tuttavia, se guardo Romeo, il mio anziano vicino di casa che ha una piccola bottega per riparare divani, so che il suo posto non verrà preso da nessuno, il suo lavoro come quello di tanti altri pic­coli artigiani andrà via con lui.

È sempre successo con quella che gli economisti chiama­no la distruzione creatrice: sparisce la bottega, ma nel contempo nascono altri lavori, altre professioni. Da tempo questo processo si è interrotto: sono più i posti di lavoro che spariscono che quelli che na­scono, non è una questione di generazioni, ma di un sistema economico che si arricchisce senza generare posti di lavoro e non garantisce nemmeno la restituzione pubblica che il vecchio capitalismo dava alla collettività attraverso le tasse (il lavoro era una possibilità di libertà).

Per rendersene conto basta vedere quanto risibili siano i guadagni imputabili al fisco rispetto alla ricchezza totale prodotta dai colossi del web. Questo, tuttavia, non è l'unico cambiamento che c’è tra la generazione nata negli anni ’50-60 e quella successi­ve perché oltre all'economia è cambiata anche la società: costituita più da individui che da gruppi coscienti di avere un destino comune (una volta le chiamavano masse).

Non resta quindi che la solitudine del cercare di uscire da “soli” dai problemi perché il tuo problema è solo tuo (anche se è uguale a mille altri) quindi “via lui dentro io”. In termini generali può spostare i livelli occupazionali dello 0,00001%, ma a livello personale è tutto, fa il 100%, è il passaggio da una condizione di precarietà permanente ad una qualche stabilità: in sintesi il posto ti traghetta dalla modernità liquida a quella solida.

Ho 49 anni e 10 mesi, una laurea in economia e commercio, un dottorato di ricerca in socio­logia e il contratto di lavoro più lungo a tempo pieno che ho avuto è stato il dottorato quando mi hanno pagato consecutivamente per ben tre anni di seguito. Con gli anni non ti manca solo il posto, ma l’essere riconosciuto come per­sona. Sarebbe auspicabile un processo di inclusione dove non solo si lotta per dividere meglio la torta, ma anche per allargarla: come una barca dove più salgono persone, più diventa grande e più si ingran­disce, più c'è posto per altri.

Come Szymborska, in sogno vivo su un’isola dove c’è posto per tutti, non c'è distinzione tra vecchi e giovani, il lavoro è un diritto, i giornali vendono milioni di copie e questo ga­rantisce più libertà di opinione e maggiore democrazia: non si arriva prima (o al posto) degli altri, ma lontano. Lo so che è solo un sogno ma se qualcun altro si associa forse potrebbe essere qualcosa di più.

Fabrizio Floris

NP gennaio 2021

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok