I Patti Lateranensi

Pubblicato il 06-05-2023

di Renato Bonomo

Nella seconda metà degli anni Venti, Mussolini godeva di un notevole prestigio internazionale: i francesi e gli inglesi – compreso un certo Churchill – lo ritenevano un interlocutore affidabile.
Con il suo regime autoritario, Mussolini rappresentava un governo forte, in grado di mantenere l’ordine in un Paese instabile e gestire un popolo, come quello italiano, politicamente immaturo. In quegli anni poi, per le potenze liberali europee, il male assoluto erano i bolscevichi e non i fascisti, che erano anzi anticomunisti.

In un contesto internazionale così favorevole, l’11 febbraio del 1929, Mussolini firmò con il cardinale Gasparri, per conto di Pio XI, i Patti Lateranensi che posero fine alla questione romana. Iniziata 59 anni prima con la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia, essa segnò la fine dei rapporti tra i Savoia e la Santa Sede. Sostanzialmente i patti consistevano in tre documenti. In primo luogo, un trattato con cui lo Stato italiano e la Santa Sede si riconoscevano a vicenda. Un concordato per regolare i rapporti fra Stato e Chiesa. All’interno si definiva l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e si concedeva alla Chiesa di avere proprie organizzazioni giovanili indipendenti (come l’Azione Cattolica). La parte concordataria è rimasta in vigore fino al 1984 quando venne sostituita dal nuovo concordato. Infine, una convenzione economico-finanziaria.

La propaganda esaltò la firma dei patti come uno straordinario successo diplomatico: Mussolini venne presentato come l’uomo della provvidenza, colui che aveva riportato l’Italia a Dio e Dio all’Italia e completato l’unità nazionale.
La Chiesa fu criticata per essere scesa a patti con la dittatura: nello stesso mondo cattolico si levarono diverse voci critiche.
La valutazione storiografica è sicuramente più complessa.
È vero che firmando i Patti, la Chiesa legittimò il fascismo, ma è altrettanto vero che il concordato impedì nei fatti la piena realizzazione del totalitarismo fascista. Il mantenimento di alcuni gruppi giovanili ruppe il monopolio dell’educazione dei giovani, caposaldo di ogni dittatura.
Molti ragazzi ebbero così la possibilità di ascoltare parole e valori diversi da quelli che proponeva il regime. Non a caso, molti membri della futura classe dirigente della Democrazia Cristiana si formarono culturalmente e politicamente all’interno dell’Azione Cattolica o protetti dalle mura vaticane.

Non solo, l’anomalia cattolica ha limitato la piena realizzazione del fascismo. A differenza della Germania nazista o dell’Unione Sovietica stalinista, il fascismo fu un totalitarismo imperfetto.
Anche la grande industria italiana – nonostante gli sforzi di Mussolini – non venne mai del tutto fascistizzata. Il capitalismo italiano sfruttò piuttosto le politiche corporative del regime per controllare le masse operaie senza dare effettiva adesione al fascismo. Anche le strutture sociali più tradizionali rimasero piuttosto impermeabili.
Infine, durante il ventennio (1922- 1943), il capo dello Stato continuò a essere sempre Vittorio Emanuele III. Emblematica a primavera del 1936: dopo aver conquistato l’Etiopia, Mussolini proclamò la nascita dell’impero, ma a capo dell’impero non poteva esserci lui. L’imperatore, almeno formalmente, rimaneva il re. Mussolini non riuscì mai a togliere di mezzo la monarchia, anche perché la nobiltà e la corte – e quindi l’esercito – furono sempre e prima di tutto monarchici e, solo in seconda istanza, fascisti.
 

Renato bonomo
NP febbraio 2023

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