L’alba dopo i massacri

Pubblicato il 18-09-2022

di Gian Mario Ricciardi

Quelle immagini dei luoghi degli orrori dell’Ucraina non le potrà dimenticare nessuno. Arrivano nelle case nel clima di Pasqua e ci ripiombano nel medioevo delle stragi. Sono il frutto bestiale dell’odio. Siglano la fine di tutti i valori. Entreranno nei libri di storia dei nostri figli e nipoti. Sono uno spartiacque inaccettabile che ci rovina addosso in un momento molto particolare dopo due anni di pandemia. Forse però possiamo trasformare quegli orrori e quello strazio in un “nuovo inizio”, in un ritorno alla vita completo e vero. Non è facile, ma si può fare ricominciando dai gesti più semplici.

Allora, ecco, ripartiamo dal “ciao” e dalla gioia dell’abbraccio dopo l’alba di Pasqua miscelando la nostra rinascita con quella del mondo dopo la guerra perché ci sarà un “dopo”. Sì, dopo l’impressionante slancio di solidarietà e accoglienza, torniamo al saluto dei pellegrini: in casa, per strada, sul tram, sul metrò. Lasciamo decantare i vasi di dolore e di ansia accumulati; l’aggressione incredibilmente brutale di un dittatore; i massacri dei soldati-bambini, le esecuzioni sommarie, le fosse comuni. Sono tragedie e drammi che, da giorni, si mescolano con le nostre delusioni, la malinconica solitudine del ritorno alla normalità, la tristezza di malattie debilitanti e feroci. Il saluto può essere il primo gesto per riprendere il cammino di una comunità che sarà sempre più colorata di razze, etnie, religioni. “Ciao” è un segnale che arriva dal cuore. È quel guizzo in più che aiuta a vivere. Ci può introdurre al dono dell’accoglienza, dell’amore, della carità. Usiamolo per gli ucraini e tutti gli altri, immigrati e non.

Abbiamo raggiunto la fine per decreto (condizionata certo) dell’emergenza Covid, forse arriverà anche la pace come tutti vogliamo. Certo lasciamo, accanto a noi, le macerie di una botta al cuore che ha falcidiato migliaia di famiglie, distrutto le serenità, seminato discordia, ma siamo qui per riprendere un percorso che è un dono di Dio. I giorni che abbiamo vissuto, hanno marchiato la nostra fatica: di vivere e di credere con tanti se e tanti ma, ma è Pasqua. Nella croce, il legno verticale ci porta a Dio, quello orizzontale abbraccia il nostro piccolo mondo, il cielo ora ancora illuminato da bombe e missili. Quante volte passeggiamo per viali, per le vie, per la montagna, sui lungomari. Ci incrociamo con i volti di mille vite, cogliamo (a volte) gli oscuri rigurgiti di divisioni, di amori trasformati in odio o quel qualcosa di indefinito che blocca e impedisce qualsiasi comunicazione che abbia un senso, vediamo miseria e povertà materiale e morale, bombe e sangue innocente, ma non abbiamo la forza di reagire. Abbiamo visto i frutti dell’odio non solo ma soprattutto in Ucraina: sono il risultato dell’incomunicabilità ma anche le lezioni della storia! I nostri ragazzi quando si incontrano si salutano. Noi, spesso, no. E dopo, magari, stiamo pure male, ma restiamo zitti. Zitti di fronte alle palesi ingiustizie, zitti davanti ai soprusi, zitti di fronte alle barricate di odio che qualcun altro ha costruito e noi, spesso, alimentiamo.

C’è stata una valanga di fango limaccioso, ingiusto e a volte anche becero, su chi in questi anni ha cercato di trasformare il mare Mediterraneo, il mare dei fantasmi, in un porto sicuro per tanti disperati; c’è stato un crescendo di polemiche verso chi accoglie; c’è stato un silenzio assordante di fronte alle tragedie dell’Africa, ai drammi dell’America Latina, a chi in India continua a morire, solo, per strada a vent’anni dall’addio a Madre Teresa di Calcutta.

Ora basta: costruiamo la fine di questo mondo ingiusto e crudele. Basta poco. La città ideale non esiste, ma un piccolo gesto può essere l’inizio di una vera condivisione. Se vogliamo ritrovare il sorriso liberatorio, se cerchiamo di camminare seguendo quella croce che sale verticalmente e si incrocia orizzontalmente con le nostre emozioni, riprendiamo la vecchia, insuperata abitudine dei viandanti che all’alba, di notte, al tramonto incontrando “un altro” salutavano. Certo con questo non si risolvono i problemi, ma è il primo passo. La solidarietà nasce così e così cresce l’umanità: nei cortili dei condomini come sul fronte di guerra, nei porti come alle frontiere, nella reciprocità di un abbraccio: di profughi, di disperati, di familiari, di disoccupati, di persone che cercano speranza, come noi. Persone che seminano serenità, non veleni, bombe e morte.


Gian Mario Ricciardi
NP maggio 2022

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