L'estate della speranza

Pubblicato il 30-08-2020

di Gian Mario Ricciardi

È l’estate delle rinunce, della resistenza, della solidarietà. Spigolare è bello tra i tanti frutti che il maledetto virus sta facendo fiorire attorno a noi. Ci ha portato una paura da far tremare le gambe, il sospetto, il contagio. Ora ci impone la mascherina, spesso i guanti, il distanziamento sociale. Facciamo code dovunque, in silenzio, con pazienza. Non sappiamo più cosa sia entrare in un negozio in libertà, fermarci a fare quattro chiacchiere, sederci su una panchina. In montagna andiamo, se possibile da soli. Ci portiamo il mangiare dietro come cento anni fa.

Al mare ci muoviamo come automi atterrati, per sbaglio, sulla luna dove non c’è la forza di gravità e voliamo a metri di distanza: arretrati di almeno mezzo secolo. Sui tram, autobus e metrò camminiamo come involontari protagonisti di una guerra batteriologica: un posto sì, l’altro no. E poi, alle fermate, via, subito a casa alla ricerca di un ipotetico “rifugio antivirus”. La socialità è distrutta, i gesti mutati, gli sguardi allucinati. Anche il volontariato è stato ridotto in briciole dagli spazi, i guanti, le mascherine e le distanze.

È l’estate della resistenza. Ce la facciamo, certo, dopo che una nuvola di dolore, di morti, di malati ha spazzato via un mondo che non c’è più. Ed ogni minuto, ancora governo e regioni sono travolti da altri allarmi e “zone rosse”. Per settimane lunghissime abbiamo camminato “al contrario” perché nelle nostre giornate è stato cancellato tutto, l’agenda, il lavoro, il divertimento, il senso di invulnerabilità. Tutto.

Resistiamo nelle nostre chiese silenziose ritrovate, senza abbracci, con quelle regole che cozzano con il calore e la profondità della fede. Molti lo fanno con gli occhi umidi di lacrime dopo aver salutato da lontano, o idealmente, papà, mamme, nonni, amici. Altri lo fanno grazie alla fantasia della misericordia che le nostre comunità hanno trasformato in incontri con i ragazzi abbandonati dallo Stato al loro destino fino a settembre con le “estate ragazzi” falcidiate, gli oratori con la museruola, le scuole chiuse.

Ma, dopo tutto il male che il virus sta scaricando sul mondo c’è un’alba oltre il buio, una solidarietà rinnovata. È vero che il pericolo, il timore, la paura ha consigliato a molti di rinchiudersi in casa, in silenzio. Ma è anche vero che il “cuore d’Italia”, al di là delle polemiche ormai quotidiane che evaporano la sera, sta provocando un nuovo slancio di autenticità e solidarietà.

Abbiamo visto quartieri interi e paesi mobilitarsi per raccogliere cibo, aiuti, spese e non solo caffè sospesi, mascherine donate, offerte. È stato ed è uno slancio silenzioso ma continuo. Ed è la strada giusta per tentare di sopravvivere ed in parte di ricominciare a vivere anche se degli “stop and go” che nessuno di noi mai avrebbe immaginato: certo i medici, gli infermieri, i tecnici, gli addetti alle pulizie negli ospedali, i sacerdoti che hanno pagato i loro gesti troppo spesso con la vita; ma anche grandi aziende e piccole imprese, grandi e piccoli commercianti che hanno donato agli altri in ogni parte d’Italia. È il “grande cuore” che rinasce e si rilancia.

Ci aiuta a resistere anche quando l’angoscia del cuore ci stringe alla gola perché uno di noi non ce l’ha fatta e se ne va, solo, senza gli occhi riconoscenti di chi gli è vissuto insieme; anche quando le quarantene dividono forzatamente i padri dai figli e viceversa; anche quando, specie la sera, la paura che tutti abbiamo rischia di trasformarsi in panico; anche quando la grande prova che stiamo tutti vivendo, ed una tempesta di immagini da ogni parte d’Italia e del mondo, sembra volerci intaccare la speranza. Non la intaccherà!

Gian Mario Ricciardi
NP giugno / luglio 2020

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